sabato 19 maggio 2012

La porta

Ecco è qui la primavera dai cento colori, tante le sfumature di verde, giallo, bianco e d’azzurro, nel chinale e nel cielo suo, alla svolta dello stradello che sale, sotto a generoso sole. E poi cento suoni e brusii a far delizia dell’udito accorto, come quelli fan della vista. Ma di pari animo predisposto occorre a sorbir la varietà che incolora la vista di sotto del mare con gli scintillii suoi ad orto dove sulle onde tremolanti getta luce il giorno e chiazze più chiare o scure d’azzurro ad occaso, come la brezza dolce cala e fa carezza o cade stanca cessando, alla superficie sua e poi il vago da qui rumoreggiar di onde alle falesie. E’ come se conquistar io debba ciò che fa incanto col soffermarmi ai particolari or qui or lì con lo sguardo avido e con l’orecchio, che vagliare debba attento, or questo or quel suono, che a lasciarsi deliziar l’udito inviti. Anzi di più, è come se crear debba questo mondo di luce e di pace dai cento colori e suoni adattandomi a una lente e a un amplificatore di suono, come certo è l’ascoltare e l’osservare con rispetto e amore le cose minime e i brusii loro, altrimenti inosservati. E se tale è l’anima, se di questo è capace, predisponendosi a lasciarsi effondere di luce e suoni, forse rispecchia il vero. Quello che è oltre queste tante voci, parole certo, anche se non umane, e colori, con cui le cose parlano per canti o brusii o sfavillar di fiori e farfalle e con visione di uccelli roteanti nell’azzurro, rondini, gabbiani, taccole perfino e i tanti lì nel folto, che richiami lanciano d’amore alle compagne loro. Sì sentore v’è che di messaggio si tratti a chi qui si soffermi in silenzio rispettoso e ascolti e noti. E nessun altro atteggiamento è possibile per cogliere questa gioconda festosità di cui si rischia non accorgersi, se frettolosi si è o con la mente altrove, tanto discreta è e pacata, ché ogni altro è superficialità distratta, veder corto e confuso, e non udir che stonature e rumori! Sì, è ottusità il negarsi la bellezza, è animo da spilorci, che negano a sé il degno e il buono se c’è un costo, e qui è la pazienza di sostare attenti e rispettosi, quando in un giorno così la vita tutta par sciorinata per goderne di intima gioia. Ma altri al dubbio inviterebbe, dicendo che tutto è apparenza, interpretazione, e che ciò facile accade quando l’animo si sente buono e sereno. Il vero, direbbe ancora, è diverso, sta sotto le cose, le apparenze vestite di nuovo in questo tempo speciale e che i brusii e le cento note, che pur fanno colore, non tutti son d’amore! E sia, c’è anche il dolore! Ma allora da dove, da che o chi mi viene l’interpretazione, proprio questa che tutto mi mostra bello e buono, io non sono nulla, perché qualcosa sembra nata or ora per la mia sola meraviglia? Perché gli occhi vogliono farsi più grandi e acuti e le orecchie più sensibili per sorbir tanta generosità da questa aulente natura? Che o chi versa di continuo stille di luce e di suoni nell’animo mio e ne fa miracolo? Questo invece vorrebbe cedere a pensosa malinconia credendo che vero è, il bello e il buono nascono da un sostrato di brutto e di male, e che pure ora creature soffrono e muoiono. Invece dalle cose tutte un invito mi viene a credere che l’inesauribile bontà pur ci sia fuori dell’anima che la recepisce, e la traduce come bellezza e che vederla dappertutto non è guardare nell’illusione, ma vero nel profondo le cose, recepirne il vero significato. Sì,tutte le cose qui gridano di non rinunciare alla bellezza, ché tutto il resto è da negligere, non importante, non essenziale, non vitale per l’anima che si nutre d’essa. Nient’altro v’è, rinunciando alla bellezza, se non allora il nulla dell’appena poi, dell’appena oltre, e il gridare nostro al non senso del tutto senza che ne venga risposta. Solo la bellezza significa qualcosa e ci fa postulare un luogo, che non è un posto, è una condizione, un modo d’essere, quello del solo bene! Sì, questa primavera tutta bella, che lenta, calma parla a chi l’intenda, suggerir vuole la speranza della luce e del bene e la pazienza di aspettarli. Ché dice che quello che qui balena sia come una porta, che accedere faccia a un mondo tutto nuovo, arcano, misterioso quello del solo bene e del solo amore e che un chi ci sia, dio chiamato, che li garantisca e ci corra incontro. Sì, qui tutto l’altro, tutto l’oltre è follia e criminosa, ché crimine è distruggere la bellezza, di chi vede e non la recepisce, non vi si sofferma, passa oltre, la crede illusione, vaghezza, e certezza la sola volgarità del mondo suo concreto e brutto, ché è questo che molti uomini fanno, chiudere a sé e agli altri la porta della luce e del bene preferendo rimanere nel buio della stupida malvagità. Oh quando passerà questo lungo triste peregrinare qui?Sì, tra tanti ottusi, che chiudono gli occhi e si tappano le orecchie a tanto incanto, qui in questo mondo della incomprensione e della solitudine e delle braccia mie vuote di te, bella signora della primavera, tu che mi ami per chi mi ama e che amo, questa piccola donna amando! Ma al fine ti vedrò negli asfodeli tuoi campi, bianco vestita, neri i capelli e gli occhi azzurri come il tuo cielo, ridere eterna primavera! Sì, corrimi incontro, tu che del dio sei l’amore!

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