domenica 6 maggio 2012

Volgarità d'oggi

Oggi qui vedresti le formiche in lunghe teorie uscir da nido, ché il tempo s’è fatto mite, a rifarsi la dispensa. Così faranno fino al nuovo inverno, scoraggiate solo dal primo vero freddo. Se noti bene numerose ne escono, altre carche di semi o cos’altro, fanno ritorno, ma ogni tanto scoprir puoi una che pur torna, ma senza soma. Svelta procede, decisa, e pare ogni tanto fermarsi a una delle venienti e scambiar con essa segnali col tocco delle antenne. Perché? Forse ha fretta di ritornare al nido per segnalare di nuove fonti di cibo, la presenza o di un pericolo sopravvenuto, la minaccia. Chissà! E’ un comportamento strano che una ragione deve avere. A me piace pensare che si giustifichi appunto per dar di buona novità avviso o di minaccia. Allora anche ti invito a osservare la risacca. Quando nuove onde si generano dalle sopravvenienti che si frangono alle falesie qui dabbasso. Le riflesse, generate dall’urto, vanno incontro e interferiscono con quelle che a morir s’affrettano agli scogli, come se avvertir le volessero della folle loro corsa. Oppure pensa a certi sogni, che significar pur devono qualcosa, e tu vi ti veda sospinta dalla folla in una direzione e qualcuno, che sia fuori della scia, gran cenni ti faccia di non lasciarti trascinar via. E’ questo che la fantasia mi suggerisce a far metafora per quello che ho da condividere con te. Tu mi dici che in una società più giusta, valore avrebbero le doti di ingegno e sentimento. Te ne do ragione, ché questo binomio, spesso presente proprio in voi donne in un abbinamento felice, mi avvalora l’idea che allora, possedendolo, meglio rispondiate alla vostra funzione di icona della madre celeste e anche, nelle più virtuose, di suo idolo o specchio vivente. Ma ti osservo che in una società arcaica, quando vero usciti ne fossimo con molte difficoltà, riconosceremmo che quelle doti, pur custodite, spesso misconosciute sono proprio alla donna, impedendole il giusto peso in comunità, con grave suo impoverimento e danno anche dell’immagine, vera tra noi, della bella signora della nostra fede. Oggi, dopo tanti fatti storici di rilievo, si vive in una società più libera, aperta e più dignitosa vi sta la donna, eppure quei pregiudizi vi si ridestano talora, a far prepotenza e ingiustizia proprio su lei. E questo vi può accadere per la volgarità imperante che impedisce una giusta gerarchia di valori, che vedrebbe il bello, il buono, il bene, a cui mi piace che più sensibile sia la donna, preferibili al male, al malvagio, al brutto. Ma l’uomo volgare, cui assai tristemente si può aggiungere la donna fatta così, sovverte questi valori, li vanifica nella sua visione cinica del mondo, scusa come inevitabili i disvalori. Sì, perché volgare non è tanto chi dice e pratica la trivialità, soggetto da isolare ed emarginare, ma più chi ne giustifica se non il comportamento, la presenza, nella sua convinzione distorta in cui lo spiacevole, ha la sua ragione di essere, di manifestarsi in un mondo arido, folle, guidato dalla sola convenienza nell’agire, morti tutti gli ideali, il dio anche. E tu vero puoi qui veder vistosamente cedere, degradarsi a esistenza amorale, quasi tutti. La classe ricca sempre più accaparratrice senza vergogna, i politici troppo spesso scoperti a far il loro vantaggio disinvolti, i poveri, da sempre ammiratori dei più fortunati, ora ancora più succubi, appagati dalle briciole che loro riserva la cupidigia dei furbi. E tu perfino potresti essere tentata, come io sono, dalla stessa visione cinica di chi vede la virtù apparenza e sostanza il riferire tutto a sé, l’egoismo. Sì, aderire, far propria la convinzione che oggi, in un mondo di apparenze, ben si giustifichi l’apparire senza che sostanza meritoria vi sia, ché da questo si viene giudicati, apprezzati, introdotti, preferiti. Sì, sembrerebbe proprio massima aspirazione lo stare al sole dei vantaggi senza aver meriti, finché il bel tempo dura e tanto peggio per i non fortunati! E allora in questa società imbevuta di cinismo, fatta bassa, brutta e volgare se v’è qualcuno nobile d’animo che vi fa? E’ guardato con sospetto e incontra dai più disprezzo nella gioia, scherno e sogghigno nella sofferenza, e solitudine sempre. E’ il vero respinto, emarginato, il fuori posto, il sognatore che scambia prosaiche lanterne, per lucciole amorose appaganti solo i sogni suoi vani. Una specie di matto di cui diffidare. E’ il giudizio volgare, che tutto ritiene impuro, in cui tutto e tutti sono da appiattire e se v’è un ostinato fuori, ecco va additato alieno. E uomini volgari ci sono stati in tutti i tempi, non v’è epoca esente, anche se il tempo conferisce al passato sempre una patina di immeritato decoro. E ben definiamo conservatrice la mentalità che teme dell’oggi una deriva al peggio e predilige il passato con le sue idee pur logore e spesso fallaci, epoca in verità non meno colpevole della presente. Ecco, questo mondo è vero volgare nelle sue premesse teoriche e nelle pratiche attuazioni e diffama la virtù che non capisce, certo non ha, né vuole e predilige una condotta irriverente, che il peccato perfino riduce a bagattella di preti ipocriti. E io vorrei poterti rassicurare di non esser della schiera dei così benpensanti, ma il vizio morale forse non mi esenta, sarei tentato di star tra la volgarità, ché chi vi sta vi può essere un impenitente gaudente, porco sì d’Epicuro, ma che ne appare appagato ed è sempre ben accolto, scusato se perfino nella trivialità si lascia andare, e si muove sicuro da ben adattato nel gregge. Sì, peccatore mi sento, tentato di restare in un gregge di peccatori. Ma talvolta ne ho ravvedimento e diverso de facto esser vorrei e degno delle tue aspettative di bene, nella vita che deciso hai di condividere con me. Vi riesco? E’ proprio questa sensazione di inadeguatezza a restituirmi dignità, e come se tu da fuori cenni mi facessi,mi scopro controcorrente in una folla deviante che spinge in una direzione a un destino che non voglio mio, anzi vi si accalca in una corsa folle, che coinvolgere vuole, sì, travolgere. Ma, proprio perché così misera, tutta sarebbe da soccorrere! Io stesso misero che soccorrer ne vorrei altri! Ma questo è un tipo di miseria ben strana, difficile da sanare. Ché colui che sarebbe da beneficare non si ritiene affatto in errore, anzi depositario di una visione meno grossolana, più nitida della realtà, più veritiera, mentre attribuisce ruvidezza di giudizio, dabbenaggine perfino, a chi tenta d’esser virtuoso e ha la pretesa assurda di far ravvedere proprio lui che è nel giusto e nel vero e guarirlo dal cinismo, ben giustificato, con l’esempio di una vita possibile nella diversità eroica. Ingrato è il compito, ostinato vi sarà chi tenta d’esser così cristiano coerente, che vive la sua vita scomoda e si ostina a mostrarne la bellezza. Ostinazione di pochi che mi ricorda quelle formiche che tentano di dir qualcosa alle compagne tornando apparentemente senza scopo al nido, mentre non si interrompe o devia il percorso delle incontrate o come, nella fantasia mia, sembrano invano avvertir le onde di risacca quelle che a infrangersi vanno alle falesie. A me tu vero gran cenni hai fatto che mi staccassi dalla corrente, così a te che mi recuperi m’è dolce pensare, ed è questo che fa bello il nostro andare a due per questa via impervia, sì, lo fa vero amore. Io ho cessato di far il mio e nostro danno, anzi mi ritrovo contento d’esser un po’ o molto diverso, sì, come tu mi vuoi. Ma se vogliamo far giusto e bene, prego la madre nostra di sostenercene la volontà e di darci il coraggio di vivere nell’incomprensione della mediocrità e di capir la differenza di ciò che ci distingue dalla volgarità dilagante, per tentare di non contaminarcene, ma di correggerla, dalla debolezza e spesso dall’indigenza nostre. Siamo pensati strani perché diversi? Bene, siamo nel giusto! Ci guarda lei, non è dolce l’afflato suo, non compensa gli scherni, le offese, l’insolenza, subiti nel galleggiare in un mare di volgarità?

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