lunedì 9 aprile 2012

Pentimento

In vecchie chiese di qualche pregio, non curate per secoli, ti sarà capitato notare come in affreschi, che belle tue storie o di santi tuoi raccontano, un bell’effetto d’insieme quelle hanno se guardate di lontano, quando la mano sapiente dell’uomo v’abbia saputo rimediare. Ma da vicino l’arte paziente del restauro è evidente, non ha invaso l’originale con quello che ha rifatto, aggiunto completamente il mancante, dovuto intuire talvolta o talaltra testimoniato da antichi schizzi o riproduzioni, o anche solo ritoccato il troppo logoro. C’è infatti una voluta discromia che distingue il vecchio originale dal nuovo posticcio. Non pensi che questa immagine possa essere metafora del pentimento che in pie coscienze tenta di rinnovare il rapporto con te e il figlio tuo, fattosi logoro per loro colpa? Non tutti però sono capaci di vero pentimento, ché tutti tentati siamo di indulgere sul nostro passato. Ma quando c’è una personalità autentica e il pentimento sincero non tace, essa ne sarà ricostruita, rinnovata come anima nuova. Chi è invece incapace di pentirsi mancherà di vera libertà, resterà condizionato da quel passato, non trascorso, di manchevolezze, errori, omissioni e quant’altro fa una vita peccaminosa, da cui solo apparentemente il tempo l’avrà distaccato, ma che riemergerà, ricordato talora per analogia, talaltra riaffiorante nel simbolismo di sogni pregnanti, che pensanti, perplessi lasciano al risveglio, persino talora trasformati in incubi, succuba allora la mente restandone. Ecco, chi non si pente del fatto poco o del non fatto del tutto o del fatto male, manca di libertà vera perché rimasto fermo, vincolato al suo ieri, non superato del tutto, non trascorso appunto, sebbene passato. Vi coincide staticamente negli atti suoi che si illude nuovi, nel dinamismo del suo divenire che invece non c’è, se non illusorio. Ché la sua non è storia morale, ma storia profana di fatti ambivalenti, come lo sono, a ben vedere, gli avvenimenti tutti, in cui si sia optato per la versione più conveniente alla pochezza dell’animo che li abbia come suoi registrati, che consenta di non essere troppo severo con se stesso, mentre gli altri attori in quelle vicende, son fatti carchi ingiustamente di maggior responsabilità. Ma alla lunga si capirà che il tempo non ha guarito comunque dal male, nemmeno pensato, analizzato, diagnosticato, come invece talora accade delle malattie fisiche mute o che, dolorosamente manifeste, lasciarci non vogliano, di cui esso è invero grande medico. Ma la malattia morale se non punge, se non parla col linguaggio del dolore, non va via e la presenza sua, anche sopita, misconosciuta, non ci fa sereni nell’oggi e nemmeno fiduciosi guardare al domani, li annebbia, li sciupa nella speranza. E’ come aver lasciato l’affresco della nostra storia com’era, brutto di lontano osservato, peggiore se da vicino ci si soffermi. Invece il pentito sincero ha il paradossale potere di poter mutare ciò che, appunto perché stato, coi testimoni suoi che il tempo avrà reso al pari delle cose muti, ma pur presenti e parlanti alla coscienza, sarebbe immutabile. Ma avviene per esso un cambiamento di senso, paradosso che di miracolo sa. Quegli avvenimenti non più opprimono, non più esondano, invano compressi nella latebra del cuore o costretti a popolarci l’inconscio che serra naturalmente solo fatti sgradevoli molto lontani, ma che pronto è, nel nevrotico che, io nascosto, tutti un po’ siamo, a risucchiare anche cose recenti. Essi diventano incapaci di nuocerci ulteriormente , visto che offendendo chi avremmo dovuto amare, che reca comunque di te e del figlio tuo, è a noi stessi che hanno nociuto di più. E basterà, anche se dolorosamente lo sarà, riconoscere quel comportamento fattosi riprovevole alla coscienza, errore, abbaglio, falsa interpretazione. Ecco allora che il pentimento avrà rinnovato la persona nostra, l’avrà perfino migliorata. E’ un nuovo affresco la sua storia, perché rifatto nelle carenze sue, forse non bello, ma accettabile con serenità dal giudice severo che dentro ci abita, messo da te o dalla morale che fa norma, costume nella società nostra, anche se a nessuna cultura appartener può non tanto il “fate ciò che volete vi sia fatto”, ma il vostro “diligite inimicos vestros”, norma dettata, non umana scoperta, non radicalità di preesistenti precetti, ma divina. Ecco la libertà che la consapevolezza del peccato, nel suo doloroso itinerario di salvezza, ha fatto rinascere. E si diventa daccapo l’uomo nuovo degno d’ascolto e di rinchiuderti, innamorata, nel cuore, catturata nei lacci d’amore cui docile t’arrendi e da cui il passato t’aveva sciolto con le sue azioni brutte, che solo il pentimento ha fatto vero trascorrere, quando con coraggio ne abbiamo assunto la responsabilità piena, non ad altri trasferita, ché meno opprimente ne risultasse la soma. E raccontarlo al sacerdote che vicaria voi, è bene, ma come completamento, ché quello sta per perdono concedere, non ha altri maggiori compiti, ma ben accadrà solo una volta che ci siamo potuti perdonare, nel pentimento. E allora ripristinati sicuri saremo nel vostro amore! E io, che peccatore sono stato e forse sono, almeno potenziale, non più mi ingiurio, non più mi calunnio, guardo distante il mio affresco e vi ritrovo bella l’immagine tua, m’avvicino e le correzioni che ho dovute apportare, tenui sfumano, quasi inapparenti. Ecco, non meno bella è l’icona tua di fuori, quella tua forse più ancora bistrattata, è qui ancora accanto, non è scemata nella caligine della notte della mente mia. Posso riguardarla nella libertà ed è bella questa donna mia, è la mia poesia di gioia in questa vita, tu me l’hai restituita, ti significa, ti specchia. Eccomi daccapo libero, senza più il “ morsus coscientiae” a farmi amara la vita e renderla così e deludente a chi vicino mi vive, e son di nuovo un piccolo ascetico, sempre fragile, un po’ infermo nel corpo, un po’ casto, molto di più innamorato, ché non in solitudine sto, ho lei, quindi te! Due donne nei sogni miei!

Nessun commento:

Posta un commento