mercoledì 4 aprile 2012

Vita grama

Quasi pasqua è ormai, che ti dirò?
Mai, madre, come oggi s’è fatta problematica la vita, né alcuno v’è che tolga l’uomo dal rischio, dall’incertezza, mani troppo labili e incerte reggo dei più la sorte, o volpine di politici troppo avvezzi al sé “diligere”. Allora qui malattia e salute, fame e misura nel cibarsi, indigenza e possedere appena, infelicità e appena poter sorridere, non occupazione e lavoro precario e mal pagato, sono tutti da sempre gli esiti grami della fortuna, aleatori essendo i fattori economici, da cui quelli dipendono, a questo mondo ora globalizzato, brutto per molti, scomodo per i più, prosaico per tutti. A parte parlare dovrei di chi, a danno di tutti, accaparra, avido vivendo una vita per sé tutta, istintiva, distorta, passionale perfino, delirante nella megalomania, nella smania pericolosa d’aver di più, quello che per lui fa presto a divenire superfluo, ma che ad altri molti è sottratto e sarebbe, ripartito che fosse, per ognuno lo stare appena, vitale quindi, ma che pure si vede negato, per la cupidigia di quello. Pensa madre, è di questi giorni che statistiche hanno mostrato il troppo avere di una decina di grassi lurchi, tanto come milioni (sic!) dei più derelitti! Ma pur vivere ci tocca qui in basso con questo spettacolo contraddittorio del comportamento umano, quello dei pochi, che solo cura di sé hanno, e nelle loro mani sudice e rapinose le sorti di molti, succubi mantenuti, e quello dei pochi che s’affannano, ché una migliore e più diffusa giustizia vi sia. Spesso essa colpevoli ci vede, sì noi proprio, che tra i più siamo, se ci arrendiamo, le cose lasciando come stanno da sempre, come se le sorti dei troppi disperati non ci riguardassero, paghi del nostro poco, ma, sbagliando, sicuro creduto. Ecco il compiacimento dell’imbelle mediocre che vive da peggior parassita, percorrendo una vita ignava, pavida anche, ché i potenti non infastidisca. E di simile c’è in tutti i giudizi morali, lasciar le cose nell’indeterminatezza, senza pronunciarsi su il giusto e l’ingiusto,il vero e il falso, su il bello e il brutto, su il santo e lo spregevole, come gretti, egoistici oggetti diventando a rischio di perdere il poco pensato bastevole, ma precario in troppe labili e fragili mani tenuto stretto, e, peggio, di perder la propria umanità. Sì, questo essere senza dignità, e non piuttosto soggetti virtuosi, a migliorar questo mondo infame volenterosi protesi, divenuti capaci di comprendere ciò che fa carenti troppi e che tutti concerne non gli indigenti solo, or che le ideologie tutte misere tramontate sono. Ma quelli che solo per se stessi stanno, maggior scorno hanno agli occhi tuoi, perfino di chi, nato anchilosato o divenuto ottuso, la vita sua ben protetta spende, senza lo sforzo di dover cercare quello che altri affanna, come se di un capriccio o perfino di un eterno erotico gioco si trattasse e gli altri, attori lor malgrado, del divertimento suo burattini siano. Egli sta nell’opulenza e sicurezza dell’aver molto e gli altri in soggezione, pur rabbiosi d’indigenza, che ha anche quello responsabile, spesso a omaggiarne la predilezione rara della sorte, che il dio denaro sembra offrirgli, e a rendergli omaggio infame, perfino! Ed io qui certezze non ho, povero sono di mezzi e molti scopi nobili non ho ormai, ma a denti stretti ho tentato, madre, d'essere e restare dalla parte giusta! Ma tu ora che più vecchio e stanco mi vedi, fa che mai mi ponga giudice dell'altro, nell'atteggiamento di chi sa ciò che altri non sanno, vede, illuminato, i tuoi “arcana” in un mondo di ciechi, come se savio fossi più degli altri tutti e avessi certezze invece dei dubbi, che, come tutti, sconfitto non ho. Che ho cercato di comunicare, di donare “ex indigentia”? Solo, ecco la madre, il dio, non solo è, ma c'è! Tu ci sei, qui proprio, accanto e dentro ciascuno! Ho detto, non cercatela nelle parole tante, troppe dei saccenti, non cercatela nei riti, ma nella preghiera recitata da soli, quindi nel cuore vostro. E se maschi siete, sappiate che ne è icona ogni donna della vostra vita, e quella sopratutto che ha deciso di vivervi accanto, ne è l'idolo, lo specchio, che parla di lei e ve la fa vedere per quanto qui è possibile, ché tutto confuso per enigmi vediamo! Se femmine, siate orgogliose del tesoro che avete in voi a significare di lei, e sappiate che da responsabili occorre agire, dire, decidere, ché se voi fate, intender il maschio vostro deve che la madre quello fa! Allora non immeschinitela con comportamento indegno! E altro non so! E mi inquieta vivere qui ancora, non per l'ignoranza tanta che mi circonda, ma per la piccineria, l'insensibilità di una umanità veramente povera, più che di cose, perché incapace, manca d'amore, e nell’amore che le scema come acqua che palmo tenga, o che incompreso abbia, includo il mio or ora disprezzato e irriso. Perché di questo dir ancora? Forse debolezza è questa mia, che me ne fa parlare, o ché, nel dirne e ridirne a te, confortato ancora ne resterò? Gioverà ch’altri ne sappia? Non so, ma l’empatia, penso, vero umanizzi! Comunque un po’ solo dirò, ché ad altri non dispiaccia e noia rechi, di quello che bambino mi nacque nel cuore e io, illuso che mi fosse dolcezza in momenti bui, ho conservato, proteggendolo fin ad oggi, per vedermelo immeschinito e deriso da persone forse solo grossolane e volgari, ma d’apparenza altro ancora. E dire che la piccola donna che m'hai donato, mi diceva d'esser cauto nel farlo finalmente conoscere a chi, forse tardi era ché ne sapesse, e che mistico amore potessi pur averne, ne comprendeva la necessità, ché esso nato lontano era, e, sopravvissuto, non poteva guarirmene, ma guai a toccare quella, il suo amore perso avrei! Sì, una leonessa m’hai dato, più che gatta sorniona! Ed ella anche aveva aggiunto che timore aveva, conosciutala appena, che l'altra degna non fosse di tanta predilezione e fedeltà e forse le motivazioni mie non avrebbe capito. E le avevo giurato di far così, discreto agire, visto che imperioso sentivo di doverlo. L'ho fatto? Ma oggi che particolari divulgatori dell'ultimo accaduto tra noi, la rottura, ho dolorosamente appreso scaduti nel pettegolezzo, solo posso a te promettere che mai ne dirò male, vile ne resterei, ma scuserò la sua debolezza del pur dover dire di noi a qualcuno, e che pregherò per non altre sue amarezze di vita, ché, ravveduta, anche questa sua così le parrà. E continuerò a volerle bene, nel segreto, anche se nemica s'è fatta. Ben conosco del figlio tuo il comando! Ci riuscirò? 

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