martedì 18 giugno 2013

Due rappresentazioni d'uno stesso amore











Di cera nera t'ho fatto e da anni ormai pendi sulla croce appesa a questa parete bianca. Ti guardo a volte e sei tutto un dolore. Il capo reclinato e aperta la bocca nel respiro bolso dell'agonia. Sembri voler gridare l'ultimo atroce dolore, ché ti si spezza il cuore. Ma c'è un altro cristo tutto nero dipinto da mio padre. Scende il tramonto e proprio tutto nero il cielo si fa sopra la falce rossa dell'orizzonte. Non ti rappresenta sulla croce, ma sereno sei come parlando ai tuoi. E' forse la sera degli addii, quella della cattura, e tu, rassegnato al tuo destino, guardi teneramente chi l'icona ammira. Credo siano modi diversi di rappresentare lo stesso amore. Io so perché t'ho fatto nero. Il nero ogni luce trattiene e non rimanda alcun colore, così tu di ogni sofferenza t'appropri dalla croce tua novella sempre ripiantata.





Mai ho invece chiesto a mio padre perché t'abbia dipinto nero, e io forse ho solo tentato, con l'inquietante mia rappresentazione, risolvere l'enigma di quella sua visione triste e serena a un tempo. Ma penso a un tuo messaggio attraverso l'opera sua e io non l'ho capito finora. Forse è per questo che non so come amarti, ché non ho colmato, nonostante il bene, lo iato di incomprensione, che sempre c'è tra padre e figlio. Sai, mi hanno detto che medico c'è dell'età mia che cerca di curare i tuoi malati e trova il tempo per servire alla mensa dei tuoi poveri. Ben fortunata l'amica di quella signora, che mi ha narrato questa edificante storia, ché amata è da un uomo così, ed ella, apprezzando il mio commento, ha definito lui similmente fortunato d'esser capito dalla donna sua. Io avrei analoga comprensione, ma non ho la stessa volontà e coraggio, e forse la bontà di questa mia donna uomo simile meriterebbe e io non so esserlo. Io mi sono ritirato nel guscio della malattia mia, vera, ma anche amplificata inconsciamente. Ma tua madre m'ama nonostante la palese mediocrità mia, come questa femmina ostinata che più ancora dice d'amarmi avendo toccato i limiti angusti della mente mia con le angosce sue. E la donna celeste pure, ché meglio mi sa, e io so così che è rimasta come qui è stata con te, discreta nel suo starti vicina, quasi nascosta, per amare gente come me, piccola donna con chi piccolo, insignificante è o vuol essere. Sì, la mia sofferenza è anche fisica, ma psicologica sopratutto e il simbolo della condizione mia non è il mio cristo nero, ma quello dipinto. Prevede il destino suo imminente, è triste per i suoi che dovrà lasciare e sente di amarli all'inverosimile. Sì ora lo so, nero è per sorbire ogni umana pena che da mente malata più che dal soma fuori venga. E dall'icona tua raccogli ansia e rimandi serenità, e certo tu un giorno mi dirai, Ero nella tristezza tua, ero nella angoscia tua, mia ho fatto la disperazione tua! Sì, ti carichi della soma mia, la rendi un po' meno penosa..., e ora so che fare, prenderò su me un po' di quello che t'angustia nella mia rappresentazione dell'amor tuo! Sì un po' solo, come me lo consentirà la condizione mia che mutar non vuole, sarà il modo mio d'amarti!

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