Come con le donne di qui di scegliere crediamo, ma ne siamo
scelti, così con te, e in fondo sempre scegliamo di essere scelti. Ma così non
nego la presenza tua in tutti, ché per questo discesa sei ai nostri termini più
bassi, quelli infimi della sfortuna o della trivialità, lì caduti o nati, ma
che lo sei palese in chi scegli di venirci sì per amore, ma manifesta. Così qui
voi fate talvolta, come farfalle di campo vaghe a primavera coi fiori di questo
chinale. Interesse sembrate aver per tutti, lì o qui sostando il volo vostro, forse
stordite da tante presenze, ma poi attratte, su uno vi soffermate di più ed è
amore palese, date e prendete da quello, è scelto e forse non è il più bello.
Io invero non so se questo proprio mi sia accaduto o se vi sia destinato, ché piccolo, insignificante
sono in questo campo, se fiore dirmi posso. Ma se desiderio ho di te, che forse
solo bella farfalla più di tutte le belle ti sogno, ed esso mi strugge come inappagato,e non può essere che tu ancora non sia venuta, attratta da piccola mia fragranza,
io forse sopito ero o abbagliato, e, venuta, m’hai lasciato un amore. Sì, ché viene
farfalla, or ora sta sui petali miei e poi va in piccolo volo attorno, ma
sempre ritorna e su me indugia, né d’altri ha cura. Vive di me e io di quella, sì vive del riso tuo
quest’amore, ma forse noi due viviamo altra metafora con te, siamo in un eterno
gioco, tu esser vuoi bambina con questi bambini tuoi e si gioca forse a nascondino.
Solo non è accaduto come quando chi bambino, l’iniziativa prende d’un nuovo
gioco, avvertendo del ruolo che affida a coloro che a quello invita, facciamo
come se tu eri…ed io ero…, qui tu non dici, allora che gioco è il nostro? E io
del tuo silenzio più mi struggo! Oh quanto, sapendo che la regalità tua perder
hai dovuto per scender fin alla mia condizione bassa, vorrei aiutarti a
riguadagnarla! Ma niente invero qui facciamo se non per iniziativa del dio. E
se tu con me a quell’altezza perduta tornar vuoi, aquila mi vuoi e questa trasformazione forse c’è, ma ben
lenta. E allora affrettati, ché m’affretti, non vedi come corre il tempo mio? Qui
i sogni non vaniscono all’alba, ma al venir della notte e forse già crepuscolo
è. Ma quante le scorie di cui spogliarmi fino a farmi anima nuda degna d’ali!
Ma come sarà che nella virtù io faccia tanta strada avendo la vanità compagna?
Non sarà che questa come la dolcissima, occhi per i miei occhi, non mi lasci
mai? Essa mi tormenta tanto appiccicata me la sento, e perfino ora che di noi
scrivo l’avverto. Non voglio forse nel sogno nostro coinvolgere altri e questi
non dovranno leggere, e leggere scritto cattivante? E io non mi farò vanto di
aver scritto bene e quelli, che m’avranno letto, non indurrò allo stesso
peccato, compiaciuti d’aver letto qualcosa di ben espresso, che senso abbia avuto
per loro? Ecco io sono nella vanità e altri vi induco! E un tuo saggio ha
detto, “vanitas vanitatum et omnia vanitas”.
Nessuno esenta! E non evoca la parola vanità, vuoto e nulla, e l’uomo vanesio
non è vuoto un po’ sempre, insipido, frivolo sempre negli entusiasmi suoi per cose da nulla? E io?
Ho davvero poco o nulla in questo cuore, ha solo la consistenza dell’illusione?
Sono frivoli i desideri miei? Sono troppo oso io che te adescata vi voglio? Oh
aiutami! Ché, preso in queste contraddizioni, più da solo non ne esco, e come
tu certo non fai, fa non si fermi agli aspetti superficiali e vistosi del
comportamento mio questa compagna paziente, ma che capisca il mio dramma e come
tant’altre volte sia la saggezza sua a suggerirmi. Ecco, siamo così legati che
se mi perdo, lei mi segue. Ma perché pur ora, questo dicendo, la vanità
rispunta come fame e sete fanno? Meglio per me viver ignorato e oscuro per tema
dei miei passi e delle incaute mie parole con cui voglio esprimerli, o a un
ideale, a questo mio, sacrificare tutto e me stesso, col rischio anche di
correr invano, se qui la vanità più non è sprone come anche fa l’ambizione per
altre conquiste di vita, ma è freno, difalta? Quali siano state le oscure
origini psicologiche dei miei primi passi io ho scelto te, sapendomi scelto, o
illudendomene. E se dalla vanità non puoi esentarmi, raffinala, eleva il tono
suo, fa non scada nel ridicolo o diventi soma eccessiva, forse trascinerei
quest’amore e te più in basso, e vi costringerei a restarvi, me voi volendo e
che non mi perda. Sì, che io non cerchi stima o approvazione mai, né invidia,
ché buona opinione me ne resterebbe, proprio io ammirato o invidiato! Ho meriti
reali o presunti? Fa non me glori, ma solo di questa piccola donna lasciami il vanto,
che sacrifica se stessa a quest’amore, dà molto e mai se ne fa vanto, anzi
sempre carente le sembra il far suo e non sa di far molto per questo cuore. E
il valore d’un’anima è quanto fa per altra e da che ne è spinta, ecco che forse
è solo per lei che a me vicina stai, accorta, tenera, indulgente pure alle
vanità mie! Lascia allora che quest’aquila me verso te porti, come Lucia il
poeta suo dormiente, leggero carico elevò, ché talora di fatica cade un cuore, più
presto ancora del desiderio, di cui quello metaforico vive! E tu sei il mio,
forse ancora vanità, ma d’amore!
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