giovedì 25 ottobre 2012

Vanità d'amore


Come con le donne di qui di scegliere crediamo, ma ne siamo scelti, così con te, e in fondo sempre scegliamo di essere scelti. Ma così non nego la presenza tua in tutti, ché per questo discesa sei ai nostri termini più bassi, quelli infimi della sfortuna o della trivialità, lì caduti o nati, ma che lo sei palese in chi scegli di venirci sì per amore, ma manifesta. Così qui voi fate talvolta, come farfalle di campo vaghe a primavera coi fiori di questo chinale. Interesse sembrate aver per tutti, lì o qui sostando il volo vostro, forse stordite da tante presenze, ma poi attratte, su uno vi soffermate di più ed è amore palese, date e prendete da quello, è scelto e forse non è il più bello. Io invero non so se questo proprio mi sia  accaduto o se vi sia destinato, ché piccolo, insignificante sono in questo campo, se fiore dirmi posso. Ma se desiderio ho di te, che forse solo bella farfalla più di tutte le belle ti sogno, ed esso mi strugge come inappagato,e non può essere che tu ancora non sia venuta, attratta da piccola mia fragranza, io forse sopito ero o abbagliato, e,  venuta, m’hai lasciato un amore. Sì, ché viene farfalla, or ora sta sui petali miei e poi va in piccolo volo attorno, ma sempre ritorna e su me indugia, né d’altri ha cura. Vive  di me e io di quella, sì vive del riso tuo quest’amore, ma forse noi due viviamo altra metafora con te, siamo in un eterno gioco, tu esser vuoi bambina con questi  bambini tuoi e si gioca forse a nascondino. Solo non è accaduto come quando chi bambino, l’iniziativa prende d’un nuovo gioco, avvertendo del ruolo che affida a coloro che a quello invita, facciamo come se tu eri…ed io ero…, qui tu non dici, allora che gioco è il nostro? E io del tuo silenzio più mi struggo! Oh quanto, sapendo che la regalità tua perder hai dovuto per scender fin alla mia condizione bassa, vorrei aiutarti a riguadagnarla! Ma niente invero qui facciamo se non per iniziativa del dio. E se tu con me a quell’altezza perduta tornar vuoi, aquila mi vuoi  e questa trasformazione forse c’è, ma ben lenta. E allora affrettati, ché m’affretti, non vedi come corre il tempo mio? Qui i sogni non vaniscono all’alba, ma al venir della notte e forse già crepuscolo è. Ma quante le scorie di cui spogliarmi fino a farmi anima nuda degna d’ali! Ma come sarà che nella virtù io faccia tanta strada avendo la vanità compagna? Non sarà che questa come la dolcissima, occhi per i miei occhi, non mi lasci mai? Essa mi tormenta tanto appiccicata me la sento, e perfino ora che di noi scrivo l’avverto. Non voglio forse nel sogno nostro coinvolgere altri e questi non dovranno leggere, e leggere scritto cattivante? E io non mi farò vanto di aver scritto bene e quelli, che m’avranno letto, non indurrò allo stesso peccato, compiaciuti d’aver letto qualcosa di ben espresso, che senso abbia avuto per loro? Ecco io sono nella vanità e altri vi induco! E un tuo saggio ha detto,  “vanitas vanitatum et omnia vanitas”. Nessuno esenta! E non evoca la parola vanità, vuoto e nulla, e l’uomo vanesio non è vuoto un po’ sempre, insipido, frivolo sempre  negli entusiasmi suoi per cose da nulla? E io? Ho davvero poco o nulla in questo cuore, ha solo la consistenza dell’illusione? Sono frivoli i desideri miei? Sono troppo oso io che te adescata vi voglio? Oh aiutami! Ché, preso in queste contraddizioni, più da solo non ne esco, e come tu certo non fai, fa non si fermi agli aspetti superficiali e vistosi del comportamento mio questa compagna paziente, ma che capisca il mio dramma e come tant’altre volte sia la saggezza sua a suggerirmi. Ecco, siamo così legati che se mi perdo, lei mi segue. Ma perché pur ora, questo dicendo, la vanità rispunta come fame e sete fanno? Meglio per me viver ignorato e oscuro per tema dei miei passi e delle incaute mie parole con cui voglio esprimerli, o a un ideale, a questo mio, sacrificare tutto e me stesso, col rischio anche di correr invano, se qui la vanità più non è sprone come anche fa l’ambizione per altre conquiste di vita, ma è freno, difalta? Quali siano state le oscure origini psicologiche dei miei primi passi io ho scelto te, sapendomi scelto, o illudendomene. E se dalla vanità non puoi esentarmi, raffinala, eleva il tono suo, fa non scada nel ridicolo o diventi soma eccessiva, forse trascinerei quest’amore e te più in basso, e vi costringerei a restarvi, me voi volendo e che non mi perda. Sì, che io non cerchi stima o approvazione mai, né invidia, ché buona opinione me ne resterebbe, proprio io ammirato o invidiato! Ho meriti reali o presunti? Fa non me glori, ma solo di questa piccola donna lasciami il vanto, che sacrifica se stessa a quest’amore, dà molto e mai se ne fa vanto, anzi sempre carente le sembra il far suo e non sa di far molto per questo cuore. E il valore d’un’anima è quanto fa per altra e da che ne è spinta, ecco che forse è solo per lei che a me vicina stai, accorta, tenera, indulgente pure alle vanità mie! Lascia allora che quest’aquila me verso te porti, come Lucia il poeta suo dormiente, leggero carico elevò, ché talora di fatica cade un cuore, più presto ancora del desiderio, di cui quello metaforico vive! E tu sei il mio, forse ancora vanità, ma d’amore!

Nessun commento:

Posta un commento