Penso che se il dio è in me problema, pungolo, e rimane
mistero, e, nonostante tu vicina tenti d’essermi, anche dramma, io debba
considerarmi come l’ateo è. Misticismo ho sì, ma improprio, contraddittorio,
quello che ha l’ateo appunto, e lo proverò! Ma ateo di che specie? Io sono infatti un tuo patito, come lo è anche,
e più ancora, chi ti nega, tormentandosi, e non certo chi, religioso si dice, e
ti nega nella carenza di gesti, anche appena dopo l’ossequio formale
nell’assemblea. Lì si va, credo, per rivestirsi della vostra carne in un
processo che, iniziato, deve proseguire nell’imitazione del figlio tuo, cioè nell’avere
la sua stessa disponibilità per il fratello e più ancora per chi non vuole
esserlo, come una pulsione, un’ossessione di benevolenza. Non mi stancherò mai
di ripetermelo e di ripeterlo! Ma piuttosto lo gridi chi sa, è questo il suo compito,
come si fa con i sordi, ché io forse non ho più voce! Ma insomma chi è il
mistico se non chi crede possibile un’unione intima e diretta con te, riconosciuto
che qui proprio sei, e anche e soprattutto chi, cercando di negare il principio
fondamentale dell’essere, se lo ficca nel cuore? C’è vero anche un misticismo
ateo? E io qui a questo rispondo, ma prima così mi dico: se vero è quasi sempre
un’ipocrita il frequentatore abituale dei luoghi sacri, chi prega, o crede di
farlo, nel solo rito, se non prosegue nel gesto la preghiera sua, io così non
vorrei ridurmi, preferisco, per averti sempre nel cuore, il gesto tentato anche
se inefficace, non le parole recitate, che tu forse nemmeno ascolti più se ad
esse quello non si fa seguire, e, forse ingenuo, vederti nelle donne tutte e
più in questa, ché pensare m’è dolce tu me l’abbia data. Sì, io t’ho nella
mente, non solo nella sua parte migliore, che dico cuore, e lì t’amo, o forse
mi illudo d’esserne capace, ma in fondo non diversamente dall’ateo dichiarato.
Costui, nella sua forma d’amore negata, ma presente suo malgrado, non tanto
provar vuole che tu non ci sia, qui nel
mondo, ma che tu non sia nella realtà tua metafisica, ché nulla c’è per lui
oltre. Questo non esserci avrebbe del vero se almeno in lui “de facto” tu non
fossi, ché nascosta sei qui anche altrove, o forse solo anche presente in una
latebra del cuore di noi pochi, e soli spesso, che t’amiamo, o ardentemente lo
desideriamo, e forse proprio in questo volerlo tu sei di sicuro. Sì, altrove
assente saresti, se non trasparissi soprattutto nel gesto di bene per l’altro
nel bisogno suo, fosse pure per l’immeritevole o il nemico perfino, in questa
realtà dove sicuro il male spadroneggia, quasi indisturbato. Sì, egli, l’ateo,
si illude di ben altro, che tu non sia
ontologicamente e dimostrarlo vuole a se stesso almeno, e si tormenta dell’impossibilità
di riuscirci e così t’afferma, e non lo vorrebbe! Perché? Solo perché comunque
è valore la sofferenza o c’è dell’altro ancora?
Sì, perché questa pretesa, è impossibilità anche teoretica, che si
rafforza in pratica, perché egli è certo che poi vivere dell’eventuale provato non
si potrebbe, e questo più lo tormenta, il che sarebbe contraddittorio. Egli
sente di non poter ignorare chi è nella sofferenza, e questo riaffermarti nel
gesto gli sfuggirebbe, perché tu continueresti a parlargli in chiunque nei
cenci suoi s’addormenta e si sveglia. Io non sono diversamente tormentato, ti imploro di
esserci, qui proprio per me e più per chi soffre, vera, palpitante, concreta,
da vedere, da toccare, al di là del mio stesso gesto e forse ignorar voglio che
vero tu sei solo in e per quello. Un gesto che non nega soccorso a chi è nel
bisogno, e si sforza di non distinguere, anzi di prediligere l’immeritevole e
il nemico perfino, così toccando e facendo toccare la presenza tua! Ecco, ho
ancora ripetuto che questo agire è per il credente una necessità, così è
ossessione almeno il ripetermelo! Quante volte lo dirò? Quanto basta che mi sia
chiavato in testa! Sì, abbiamo entrambi un pathos religioso, cioè un
comportamento, un costume, un modo d’essere, agire, patire, che ci invade
completamente, lui suo malgrado, al posto del dio, che egli vuole inesistente,
me riempiendomi del tuo, ciò che sento di aver già, ma solo poveramente, o temo,
nei momenti peggiori, manchi del tutto.
E come lo avremmo se non ancora nella attualità del gesto che sfugge a lui e a
me fa obbligo? E questo che dentro abbiamo, ci arde e consuma, siamo mistici,
lui senza il dio, io forse senza te, che sei il dio per noi, il dio qui, il dio
a misura di noi, poveri uomini, e di cui sono assetato e più e più ti vorrei,
se vero già tra le mie braccia sei un po’ solo, ché vuote più non sono! Ma
allora l’ateo vero chi è? E’ proprio vero che nessuno lo è “de facto”? No, c’è!
E chi? Ora, io mi chiedo, quanti sono quelli che nell’ossequio domenicale
salvano solo la faccia? E no, non basta esser pii, o tentarlo, c’è uno scotto, un
dazio da pagare, la coerenza! Altrimenti si è lì convenuti ad adorare solo un
idolo, mute statue di tanti santi, e non si è mangiato che pane! E questo, loro
prevalendo, sarebbe di fatto un mondo in cui si è scagliati senza scopo, dove un
dio non c’è, ci sono solo molti suoi surrogati, tutto quello che la cupidigia
brama e ottiene con la sofferenza di molti. Ed è costui che grida, anche
tacendo la vergogna sua, la sua verità ed è sconsolante per noi che lo faccia
spudoratamente,a noi che immersi siamo nella banalità di provar che il dio qui c’è,
oppure al contrario che non è, né qui, né altrove. Io preferisco l’ateo
teorico, “in verbis”, non questo “de facto” che rigetta il pasto suo, appena
consumato, contraddicendo chi in lui vuol essere e vuole che di sé si appropri!
Sbaglio, madre, se orrore ho dell’ipocrita, che con gli atti suoi sconsiderati
è l’ateo vero, che prova che non c’è un principio fondamentale, che presiede al
mistero delle cose, o, se c’è, non ha cura di noi, cioè non è qui? Allora non
resterebbe che l’egoismo e sarebbe qui la porta vorace dell’inferno, non di quello
della metafisica, che forse non c’è per sempre, perché sarebbe concreta questa
possibilità, essendo impossibile l’unione intima con chi è qui vacante, e il
male e il dolore che ne consegue sarebbero l’unica realtà! Non prova cioè
questo egoismo sfrenato, che s’aggiunge al male di fondo, che il dio non solo
non c’è, è assente, ma anche non è, è nessuno? Allora meglio sarebbe morire!
Madre, esci da questi cuori, atei solo “in verbis”, urla che ci sei a quelli “de facto”, non cantare soavemente, in solo registro mistico, in quelli che t’amano!
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