martedì 16 ottobre 2012

Atei


Penso che se il dio è in me problema, pungolo, e rimane mistero, e, nonostante tu vicina tenti d’essermi, anche dramma, io debba considerarmi come l’ateo è. Misticismo ho sì, ma improprio, contraddittorio, quello che ha l’ateo appunto, e lo proverò! Ma ateo di che specie?  Io sono infatti un tuo patito, come lo è anche, e più ancora, chi ti nega, tormentandosi, e non certo chi, religioso si dice, e ti nega nella carenza di gesti, anche appena dopo l’ossequio formale nell’assemblea. Lì si va, credo, per rivestirsi della vostra carne in un processo che, iniziato, deve proseguire nell’imitazione del figlio tuo, cioè nell’avere la sua stessa disponibilità per il fratello e più ancora per chi non vuole esserlo, come una pulsione, un’ossessione di benevolenza. Non mi stancherò mai di ripetermelo e di ripeterlo! Ma piuttosto lo gridi chi sa, è questo il suo compito, come si fa con i sordi, ché io forse non ho più voce! Ma insomma chi è il mistico se non chi crede possibile un’unione intima e diretta con te, riconosciuto che qui proprio sei, e anche e soprattutto chi, cercando di negare il principio fondamentale dell’essere, se lo ficca nel cuore? C’è vero anche un misticismo ateo? E io qui a questo rispondo, ma prima così mi dico: se vero è quasi sempre un’ipocrita il frequentatore abituale dei luoghi sacri, chi prega, o crede di farlo, nel solo rito, se non prosegue nel gesto la preghiera sua, io così non vorrei ridurmi, preferisco, per averti sempre nel cuore, il gesto tentato anche se inefficace, non le parole recitate, che tu forse nemmeno ascolti più se ad esse quello non si fa seguire, e, forse ingenuo, vederti nelle donne tutte e più in questa, ché pensare m’è dolce tu me l’abbia data. Sì, io t’ho nella mente, non solo nella sua parte migliore, che dico cuore, e lì t’amo, o forse mi illudo d’esserne capace, ma in fondo non diversamente dall’ateo dichiarato. Costui, nella sua forma d’amore negata, ma presente suo malgrado, non tanto provar vuole che  tu non ci sia, qui nel mondo, ma che tu non sia nella realtà tua metafisica, ché nulla c’è per lui oltre. Questo non esserci avrebbe del vero se almeno in lui “de facto” tu non fossi, ché nascosta sei qui anche altrove, o forse solo anche presente in una latebra del cuore di noi pochi, e soli spesso, che t’amiamo, o ardentemente lo desideriamo, e forse proprio in questo volerlo tu sei di sicuro. Sì, altrove assente saresti, se non trasparissi soprattutto nel gesto di bene per l’altro nel bisogno suo, fosse pure per l’immeritevole o il nemico perfino, in questa realtà dove sicuro il male spadroneggia, quasi indisturbato. Sì, egli, l’ateo, si illude di ben altro,  che tu non sia ontologicamente e dimostrarlo vuole a se stesso almeno, e si tormenta dell’impossibilità di riuscirci e così t’afferma, e non lo vorrebbe! Perché? Solo perché comunque è valore la sofferenza o c’è dell’altro ancora?  Sì, perché questa pretesa,  è  impossibilità anche teoretica, che si rafforza in pratica, perché egli è certo che poi vivere dell’eventuale provato non si potrebbe, e questo più lo tormenta, il che sarebbe contraddittorio. Egli sente di non poter ignorare chi è nella sofferenza, e questo riaffermarti nel gesto gli sfuggirebbe, perché tu continueresti a parlargli in chiunque nei cenci suoi s’addormenta e si sveglia. Io non sono  diversamente tormentato, ti imploro di esserci, qui proprio per me e più per chi soffre, vera, palpitante, concreta, da vedere, da toccare, al di là del mio stesso gesto e forse ignorar voglio che vero tu sei solo in e per quello. Un gesto che non nega soccorso a chi è nel bisogno, e si sforza di non distinguere, anzi di prediligere l’immeritevole e il nemico perfino, così toccando e facendo toccare la presenza tua! Ecco, ho ancora ripetuto che questo agire è per il credente una necessità, così è ossessione almeno il ripetermelo! Quante volte lo dirò? Quanto basta che mi sia chiavato in testa! Sì, abbiamo entrambi un pathos religioso, cioè un comportamento, un costume, un modo d’essere, agire, patire, che ci invade completamente, lui suo malgrado, al posto del dio, che egli vuole inesistente, me riempiendomi del tuo, ciò che sento di aver già, ma solo poveramente, o temo, nei momenti peggiori,  manchi del tutto. E come lo avremmo se non ancora nella attualità del gesto che sfugge a lui e a me fa obbligo? E questo che dentro abbiamo, ci arde e consuma, siamo mistici, lui senza il dio, io forse senza te, che sei il dio per noi, il dio qui, il dio a misura di noi, poveri uomini, e di cui sono assetato e più e più ti vorrei, se vero già tra le mie braccia sei un po’ solo, ché vuote più non sono! Ma allora l’ateo vero chi è? E’ proprio vero che nessuno lo è “de facto”? No, c’è! E chi? Ora, io mi chiedo, quanti sono quelli che nell’ossequio domenicale salvano solo la faccia? E no, non basta esser pii, o tentarlo, c’è uno scotto, un dazio da pagare, la coerenza! Altrimenti si è lì convenuti ad adorare solo un idolo, mute statue di tanti santi, e non si è mangiato che pane! E questo, loro prevalendo, sarebbe di fatto un mondo in cui si è scagliati senza scopo, dove un dio non c’è, ci sono solo molti suoi surrogati, tutto quello che la cupidigia brama e ottiene con la sofferenza di molti. Ed è costui che grida, anche tacendo la vergogna sua, la sua verità ed è sconsolante per noi che lo faccia spudoratamente,a noi che immersi siamo nella banalità di provar che il dio qui c’è, oppure al contrario che non è, né qui, né altrove. Io preferisco l’ateo teorico, “in verbis”, non questo “de facto” che rigetta il pasto suo, appena consumato, contraddicendo chi in lui vuol essere e vuole che di sé si appropri! Sbaglio, madre, se orrore ho dell’ipocrita, che con gli atti suoi sconsiderati è l’ateo vero, che prova che non c’è un principio fondamentale, che presiede al mistero delle cose, o, se c’è, non ha cura di noi, cioè non è qui? Allora non resterebbe che l’egoismo e sarebbe qui la porta vorace dell’inferno, non di quello della metafisica, che forse non c’è per sempre, perché sarebbe concreta questa possibilità, essendo impossibile l’unione intima con chi è qui vacante, e il male e il dolore che ne consegue sarebbero l’unica realtà! Non prova cioè questo egoismo sfrenato, che s’aggiunge al male di fondo, che il dio non solo non c’è, è assente, ma anche non è, è nessuno? Allora meglio sarebbe morire!

Madre, esci da questi cuori, atei solo “in verbis”, urla che ci sei a quelli “de facto”, non cantare soavemente, in solo registro mistico, in quelli che t’amano!


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