Ma poi santo chi è? Parli chi ne sa!
Mi chiedo e rispondo in questa solitudine dai pensieri tanti
e delle domande molte, qualcuno che viver sa eroicamente qui, nel regno della
malvagità, la coerenza con la fede sua, e non si ferma alle, forse solo
illusorie, consolazioni mistiche, di cui non ha comunque vanto. Ma si fa vanto della completezza alla sofferenza
del figlio tuo di ciò che tormento fa alla carne sua, e di quello che al tuo
cuore aggiunge il dolore per cui grida, da non aver più voce, contro al cielo
chiuso, troppo simile al tenebroso sopra al capo tuo, quando vinta, arresa
stavi sotto alla croce. Ecco io non sono nemmeno un po’ santo così, anzi sicuro
santo non sono! Sono solo uno che t’ama, forse un po’ solo e di più oso non è, e
dell’amore nostro non ne so di più ora di quanto ne ignorassi, ma so che
attende le tue parole dopo le tante mie! Qui ora c’è silenzio e fa freddo un
po’ dopo l’umido rimasto alla recente pioggia, ma ora anche echi di parole ho
nella mente e mi sovvengono i volti cari perduti e muti quasi tutti mi si
riaffacciano alla memoria, sì, proprio son solo con questi fantasmi, e della
compagna il sorriso casto mi fa pungolo al cuore e nostalgia, la rivedrò? Ché
temo smarrirmi, tanto come ubriaco mi sento, e di che poi? E’ forse questo
silenzio, son forse i ricordi che tanti sorgono ad affollar la mente e vi fan
tristezza, non so, ma così temo la strada del ritorno a lei più di non ben sapere! E ora
mi fermo, seggo sulle tante foglie morte e quando lo smarrimento sembra
lasciarmi, mi chiedo e cerco risposta, ma so che comunque di te saper voglio
anche d’altro parlandomi, e così lo faccio. Se saper di cosa nuova sentissi necessità, oggi davvero l’avrei o
saprei tutto di quella, ché non è difficile conoscerla se della cultura o delle
indagini d’altri in passato o attuali fa parte, ché mai le nozioni così
prossime si son fatte, eppure tante le neglette, anche da me! Sì, ogni parola
ha una sua storia, un uso per indicar cosa nota o descrive una situazione, un
fenomeno, o definisce un concetto. Ma non tutti i perché vengono soddisfatti dalle
risposte che se ne compongono e talune di queste aprono anzi una prospettiva e
un problema nuovi. Diverso sarebbe se non mi contentassi delle cose scritte o da
altri parlate o se desiderassi di un fatto sì un significato, ma quello personale,
che chiarito cioè mi venga ciò che assume una rilevanza ristretta, che divenir
voglia esclusiva e peculiare alla coscienza mia. Vero possibile mi nasca questa
necessità e a me ne voglia io far chiarezza? Ecco io ricerco in tutto e tutti il
significato tuo per me solo! E non è poco che voglio!Tu che sei, chi sei per me
in particolare? Ecco un fiore, e mi meraviglia la presenza sua qui nel chinale
or che è autunno, ché in altra epoca lo so apparire. Lo descriverò a chi ne sa e
portarglielo potrei, segno d’affetto,ma questa vuol che i fiori stiano sulle
piante loro, ché saperli recisi le fa tristezza. Certo ella me ne ricorderà il
nome ed esperta, qualche curiosità aggiungerà e ne avrò diletto. Ma come dirle
la particolare impressione, la dolce sorpresa, di poco fa e ciò che tuttora mi
suscita la vista sua coi suoi petali gialli e lucenti, singolo fiore in un
prato di foglie morte e arbusti scheletrici? Essa non appartiene a nessun sapere,
è mia, e tentando di comunicarla la falserei, comunque nulla emozione simile
accenderei nell’altra, eppure tutto cerco di condividere con lei, perché mi
versi un po’ della dolcezza sua nel cuore assetato. Ecco, è proprio così che
m’accade di te parlando a me stesso,
pensandoti anche senza parole, o le mie cose raccontandoti. Sono
incomunicabili, se ad altri parteciparne volessi, e mi fa groppo al cuore non
riuscire a ben chiarirle nemmeno a me stesso. Ma c’è dell’altro più
inquietante. Io, benché tanto lo desideri, più non ti vedo nemmeno nei sogni, e
resti, sebbene tanto parlata e mai parlante, nel vago del desiderio,
nell’indeterminato dell’aspettativa e nell’anelare della speranza che venga il
futuro a portarti, quando più acuta l’imminenza, certo illusoria, si fa al
cuore, che ti sogna tra le cose belle, buone e di bene di cui nostalgia ha, e
accorciar vuole le distanze. Ed è allora che il tuo mondo, che non so, avverto
appena dopo, appena oltre queste apparenze e le emozioni che mi suscitano, e
dolce m’è credermi capace di sollevarne il velo. E il cuore mi s’avaccia e il
respiro si fa bolso! Oh quanto vorrei di te, e mai questo cuore ne sarebbe
sazio! Ecco questa mia storia di innamorato, tanto desiderio e pochi fatti, non
somiglia ad alcuna dei mistici tuoi, che pur tanto mi commuovono, più delle
parole con cui tentano inadeguatamente di trasmettere le esperienze loro. Io
non nego affatto il loro accesso al mondo tuo sacro e arcano, ché le parole
loro sincere sanno di accorata preghiera, solo non posso farle mie, escono da
cuori ricchi e umili a un tempo, e io troppo misero sono! Sì, t’hanno pur
vista, toccata, avuta nella mente con più dell’impalpabilità del sogno, nella
visione e io non posso aver tanto! Oh fortunati! Sì tu a me favola sei, favola
vuoi restare e io favola ti vivo e questa nostra storia, che non ho parole adeguate
per descrivere, quanto vero somiglia a un vissuto mio, che confabulerei nel
ricordo tanto lontano s’è fatto! Anche lì parole strappate alla mia timidezza,
eppure quante dirne avrei voluto, occhiate furtive, sorrisi fugaci, desideri,
oh sì desideri, eppure tanto casti, forse scarne carezze e il conclusivo piccolo
bacio della fine dello stare un po’ insieme e poi buio, tanto buio! E dov’è più
la piccola di quella favola? I suoi biondi capelli son tutti trascolorati, il
suo corpicino ossuto s’è fatto diafano, le sue parole echi! E dove ora tu,
favola di tutte le favole della mia vita? Perché non tornate, con la sua
cantastorie, la madre cara, che a me e a mio fratello, rapiti, le tue storie
dir sapeva? E’ passato il tempo, oh quanto! Eppure è come acqua che leggera,
lenta cade sulla pace dello specchio d’una gora in cui alberi stormenti alla
brezza, cantano con parole arcane e dicono dei nostri rimpianti e parlano dei
nostri sogni ai nostri morti, occhi lì tutti affacciati! E io son sì accorato,
ma rassegnato, triste un po’ con gli occhi velati, e la mia smania di te sento
chetarsi, ma brivido ne ho al cuore. Ma se forza avessi urlerei da squarciare
il cielo e farti cadere tra queste braccia avide, né ti lascerei qualunque
forma assumessi, come la Teti
del mito che invano sfuggir tentò dalle braccia di chi l’amava. E a questa
immagine di lotta, che forse mi lasceresti vincere, sorrido, ma amaro! Ma allora qualcuno che
m’ama urli per me, squarci questo cielo oggi cristallino ma pur tanto greve, o
culli lei per te i pensieri di questo vecchio, che solo addormentarsi vuole al
suono dolce delle sue parole, ché forse verrà la bella fata, bambina occhi
cerulei e biondi lunghi capelli!
La foto che ho oggi inserita è da Bene Insieme aprile 2013. Esprime bene i ricordi miei or vaghi della piccola Or. Grazie dell'attenzione alle mie speranze!
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