domenica 21 ottobre 2012

La scala


Dacché il mondo lontana qui il dio è 
precario quanto lo sono i buoni tra il 
brulichio di ben altre presenze. Tu e 
il figlio tuo questo mondo avete 
voluto e fatto, e vi avete permesso 
il male, questo ha scavato un 
abisso. Ora per noi di qua le cose 
del vostro bel mondo si son fatte 
tanto lontane che solo sospiri ci 
permettono ai barlumi che ne 
giungono, e desiderio di pace, di 
quella pace, nelle rare tregue dal 
male! Ma questi aneliti tanto 
inappagabili sono, che perfino l’aver 
ignoranza di quelle cose belle, noi 
benediciamo, ché conoscere e non 
poter avere aumenta sempre la 
sofferenza, invece pietosa essa vi 
stende un velo facendole come più 
indistinte e indeterminate, 
inconsistenti come le cose dei sogni 
o delle fiabe, che a bambini 
raccontate venivano nelle lunghe 
sere d’inverno davanti a fuoco 
scoppiettante. Così il non ben 
sapere è sì altra carenza, ma, 
paradosso, mitiga la pena della 
deficienza qui, in cui tutt’altro tocca 
vivere. Sicché sì ne soffriamo, ma  
in vaghezza di aspirazione, solo 
intuendo dalla stessa gioia che qui 
ci danno le rare cose buone e belle, 
e ne resta mitigata la delusione per 
l’ardore che sempre rimane 
inappagato e presto ci rassegniamo 
e solo resta la vaga speranza che 
sarai tu a portarci quelle cose 
agognate quando la cruna per quel 
tuo mondo incantato permetterai 
varchiamo. Ma non dovremmo, è 
rassegnazione questa a quel che qui 
c’è, al male, è colpa, difalta, 
peccato! Sì,questo mondo è ostile 
all’uomo, lo è al dio, è il nemico! 
Come recuperarlo all’amore? Ecco 
voi siete venuti forse per questo, 
poveri tra poveri, e il male vi ha 
raggiunto, ha aggredito corpi e 
cuori, non distinguendovi, nella 
forma umana assunta, da 
qualunque altro che qui in 
quest’incubo si svegli. Avete così 
sondato quanto qui pesi l’assenza 
del dio, la vostra. Ecco, qui ora e da 
allora i vostri hanno la certezza 
della speranza, è la fede, nella 
vostra luce che finirà con l’inondare 
tutto questo mondo ora di tenebre, 
tante! E’ bello, è bene averla, 
riempie il cuore, lo motiva, lo aiuta 
a tollerare il dolore, consola. Ma io 
penso allo sconcerto vostro d’allora 
di provenire dalla luce e non vederla 
più se non in parvenze, debole la 
vista fattasi, debole la memoria 
divenuta e dover, così impoveriti, 
vivere quest’incubo, tutto! Ma 
dovevate proprio venire, forse per 
constatare e poi porvi rimedio, ma 
come? Sì,da allora, e per voi, 
questo è un mondo che ritorna al 
bene, alla bellezza con cui lo sognò 
il dio e poi lo perse, sacrificandolo 
ché avesse libertà, perché questa 
ingresso fece al male. Fu il vostro lo 
stesso dolore che qui fa la 
mancanza d’un bene sottratto 
quando prima se ne godeva, ma 
amplificato in modo difficilmente 
concepibile, perché voi siete 
persone divine! Più grande è un 
cuore più danno vi fa anche piccolo 
dolore! E io non so che poco della 
vostra vita, perché quanto è 
raccontato è avvolto di leggenda, 
ma so che avete toccato, palpato 
ogni dolore e ne avete pianto. 
L’avete fatto vostro, subendolo 
personalmente, o appropriandovi di 
quello che altri subiva. Ecco da 
allora è come cresciuto questo  
umanizzarvi però in unα κλιμαξ,una 
scala tutta da discendere, ma lo 
dovete ancora, non basta quanto già 
sofferto da voi in forma d’uomini, è 
un’umanarvi che deve umiliarsi a 
chiedere, a cercare, a vedere, a 
sentire come noi, creature orfane 
rimaste del dio, sì come vediamo e 
sentiamo nelle nostre bassure più 
infime, miseri, degradati, incattiviti, 
e ne prendete ogni angoscia, ogni 
lacrima, ogni gemito. Ecco il modo 
ed altro non v’era! Sì fate proprio 
come idrovora fa nel prosciugare 
una morta gora, che fanghiglia ne 
prende e foglie cadute e rami 
spezzati dal vento delle taciturne 
piante che più non vi si specchiano, 
tanto torbida s’è fatta quell’acqua. E 
sono i dolori nostri, i pianti e i pigolii 
nostri, che bruttura fanno allo 
specchio del mondo, che non più 
ritrae bellezza! Ecco voi esplorate 
con noi l’abisso della  assenza del 
dio, dove il male, consolidato, ha 
fatto fermento, accrescendosi a 
dismisura. Chi ha permesso che 
tanto lievitasse? La vita di ognuno è 
così breve e insignificante che il 
bene prodotto quasi traccia non 
lascia, effimero nei risultati suoi, 
tanto contrastati. Non così il male, 
aggiunge un pezzetto di fermento, 
per piccolo che sia, reca così sicuro 
altro e maggior danno. Ecco, allora 
occorre evitare non solo le 
conseguenze personali del male, ma 
il non aggiungerne di nuovo è una 
norma da cui non derogare, più 
ancora di quella positiva di volere 
tenacemente e attuare il bene, che, 
per piccolo che sia quello che vi 
si aggiunge, ha del bello, ha del 
buono, è opportuno sempre e può 
lenire la pena della sofferenza a chi 
il male attanaglia. E questo fa forse 
merito, ma è più ancora, è agire 
imitando il figlio tuo, che, 
premuroso medico, soccorre, aiuta, 
cerca di sanare da allora ancora e 
ancora, con le braccia di chi a lui 
crede. Quanto allora più trascurerò 
la necessità di tregua dal male del 
fratello, si chiami pur con un nome 
sgradevole che significhi ostilità e 
inimicizia? Ecco io posso forse solo 
poco, ma lo devo, vincerò o più 
spesso perderò una, cento volte. Ma 
la vittoria in questa lotta immane è 
già vostra e si sarà avvalsa anche 
del mio piccolo, insignificante 
apporto, ma che, non nato 
dall’esenzione, offerto dalla 
indigenza, è prezioso per voi, è un 
piccolo ma effettivo vostro 
avanzare. Perché voi vedete con 
gli occhi nostri, occhi miopi e cisposi, 
sentite con le nostre orecchie, 
tappate e quasi sorde, avanzate coi 
nostri titubanti, corti, deboli passi! 
Ecco questa mia povera vita, 
nell’economia di questa salvezza è 
ben poca cosa, ma io la metto ai 
vostri piedi, prendetela! Ecco, 
subisco, oggi un dolore o 
un’angoscia, domani una mancanza, 
un rifiuto, un giudizio malevolo, ho 
sì bagliori di luce, ma anche abbagli, 
sconforti, cedimenti, e tutto mi fa 
tristezza, ma anche 
momenti di piccola gioia da piccolo 
cuore innamorato. Sono in fondo 
un fortunato. Passa la bufera 
con gli ululati suoi, lì schianta, 
qui angoscia, su forza, coraggio, 
mio piccolo amore, la madre ci attende 
appena oltre! E già ha preso 
la nostra pena, già ha fatto suo 
il nostro pianto, garanzia che la 
cruna passeremo e insieme!

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