Dacché il
mondo lontana qui il dio è
precario quanto lo sono i buoni tra il
brulichio di
ben altre presenze. Tu e
il figlio tuo questo mondo avete
voluto e fatto, e vi
avete permesso
il male, questo ha scavato un
abisso. Ora per noi di qua le cose
del vostro bel mondo si son fatte
tanto lontane che solo sospiri ci
permettono
ai barlumi che ne
giungono, e desiderio di pace, di
quella pace, nelle rare tregue
dal
male! Ma questi aneliti tanto
inappagabili sono, che perfino l’aver
ignoranza
di quelle cose belle, noi
benediciamo, ché conoscere e non
poter avere aumenta
sempre la
sofferenza, invece pietosa essa vi
stende un velo facendole come più
indistinte
e indeterminate,
inconsistenti come le cose dei sogni
o delle fiabe, che a
bambini
raccontate venivano nelle lunghe
sere d’inverno davanti a fuoco
scoppiettante. Così il non ben
sapere è sì altra carenza, ma,
paradosso, mitiga
la pena della
deficienza qui, in cui tutt’altro tocca
vivere. Sicché sì ne
soffriamo, ma
in vaghezza di aspirazione,
solo
intuendo dalla stessa gioia che qui
ci danno le rare cose buone e belle,
e
ne resta mitigata la delusione per
l’ardore che sempre rimane
inappagato e presto
ci rassegniamo
e solo resta la vaga speranza che
sarai tu a portarci quelle
cose
agognate quando la cruna per quel
tuo mondo incantato permetterai
varchiamo. Ma non dovremmo, è
rassegnazione questa a quel che qui
c’è, al male,
è colpa, difalta,
peccato! Sì,questo mondo è ostile
all’uomo, lo è al dio, è il
nemico!
Come recuperarlo all’amore? Ecco
voi siete venuti forse per questo,
poveri tra poveri, e il male vi ha
raggiunto, ha aggredito corpi e
cuori, non
distinguendovi, nella
forma umana assunta, da
qualunque altro che qui in
quest’incubo si svegli. Avete così
sondato quanto qui pesi l’assenza
del dio,
la vostra. Ecco, qui ora e da
allora i vostri hanno la certezza
della speranza,
è la fede, nella
vostra luce che finirà con l’inondare
tutto questo mondo ora di
tenebre,
tante! E’ bello, è bene averla,
riempie il cuore, lo motiva, lo aiuta
a tollerare il dolore, consola. Ma io
penso allo sconcerto vostro d’allora
di
provenire dalla luce e non vederla
più se non in parvenze, debole la
vista
fattasi, debole la memoria
divenuta e dover, così impoveriti,
vivere quest’incubo,
tutto! Ma
dovevate proprio venire, forse per
constatare e poi porvi rimedio, ma
come? Sì,da allora, e per voi,
questo è un mondo che ritorna al
bene, alla
bellezza con cui lo sognò
il dio e poi lo perse, sacrificandolo
ché avesse
libertà, perché questa
ingresso fece al male. Fu il vostro lo
stesso dolore che
qui fa la
mancanza d’un bene sottratto
quando prima se ne godeva, ma
amplificato in modo difficilmente
concepibile, perché voi siete
persone divine!
Più grande è un
cuore più danno vi fa anche piccolo
dolore! E io non so che
poco della
vostra vita, perché quanto è
raccontato è avvolto di leggenda,
ma so
che avete toccato, palpato
ogni dolore e ne avete pianto.
L’avete fatto vostro,
subendolo
personalmente, o appropriandovi di
quello che altri subiva. Ecco da
allora è come cresciuto questo
umanizzarvi
però in unα
κλιμαξ,una
scala tutta da discendere, ma lo
dovete ancora, non basta quanto già
sofferto da voi in forma d’uomini, è
un’umanarvi che deve umiliarsi a
chiedere,
a cercare, a vedere, a
sentire come noi, creature orfane
rimaste del dio, sì
come vediamo e
sentiamo nelle nostre bassure più
infime, miseri, degradati,
incattiviti,
e ne prendete ogni angoscia, ogni
lacrima, ogni gemito. Ecco il
modo
ed altro non v’era! Sì fate proprio
come idrovora fa nel prosciugare
una
morta gora, che fanghiglia ne
prende e foglie cadute e rami
spezzati dal vento
delle taciturne
piante che più non vi si specchiano,
tanto torbida s’è fatta quell’acqua.
E
sono i dolori nostri, i pianti e i pigolii
nostri, che bruttura fanno allo
specchio del mondo, che non più
ritrae bellezza! Ecco voi esplorate
con noi l’abisso
della assenza del
dio, dove il male,
consolidato, ha
fatto fermento, accrescendosi a
dismisura. Chi ha permesso che
tanto lievitasse? La vita di ognuno è
così breve e insignificante che il
bene
prodotto quasi traccia non
lascia, effimero nei risultati suoi,
tanto
contrastati. Non così il male,
aggiunge un pezzetto di fermento,
per piccolo
che sia, reca così sicuro
altro e maggior danno. Ecco, allora
occorre evitare
non solo le
conseguenze personali del male, ma
il non aggiungerne di nuovo è
una
norma da cui non derogare, più
ancora di quella positiva di volere
tenacemente e attuare il bene, che,
per piccolo che sia quello che vi
si aggiunge,
ha del bello, ha del
buono, è opportuno sempre e può
lenire la pena della
sofferenza a chi
il male attanaglia. E questo fa forse
merito, ma è più ancora,
è agire
imitando il figlio tuo, che,
premuroso medico, soccorre, aiuta,
cerca
di sanare da allora ancora e
ancora, con le braccia di chi a lui
crede. Quanto
allora più trascurerò
la necessità di tregua dal male del
fratello, si chiami
pur con un nome
sgradevole che significhi ostilità e
inimicizia? Ecco io posso
forse solo
poco, ma lo devo, vincerò o più
spesso perderò una, cento volte. Ma
la vittoria in questa lotta immane è
già vostra e si sarà avvalsa anche
del mio
piccolo, insignificante
apporto, ma che, non nato
dall’esenzione, offerto dalla
indigenza, è prezioso per voi, è un
piccolo ma effettivo vostro
avanzare.
Perché voi vedete con
gli occhi nostri, occhi miopi e cisposi,
sentite con le
nostre orecchie,
tappate e quasi sorde, avanzate coi
nostri titubanti, corti,
deboli passi!
Ecco questa mia povera vita,
nell’economia di questa salvezza è
ben poca cosa, ma io la metto ai
vostri piedi, prendetela! Ecco,
subisco, oggi un
dolore o
un’angoscia, domani una mancanza,
un rifiuto, un giudizio malevolo, ho
sì bagliori di luce, ma anche abbagli,
sconforti, cedimenti, e tutto mi fa
tristezza, ma anche
momenti di piccola gioia da piccolo
cuore innamorato. Sono in
fondo
un fortunato. Passa la bufera
con gli ululati suoi, lì schianta,
qui
angoscia, su forza, coraggio,
mio piccolo amore, la madre ci attende
appena
oltre! E già ha preso
la nostra pena, già ha fatto suo
il nostro pianto,
garanzia che la
cruna passeremo e insieme!
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