sabato 1 settembre 2012

Metafora di te


Non c’è che un tempo proficuo della vita con te ed è questo presente, così pregnante di speranza. Eppoi è il tempo del nostro perdono per gli altri, ma anche di quello personale, per i ripensamenti sul passato, deludente a volte, che postula come certo e prepara il tuo, che speriamo da questa dipendenza filiale che in te confida. Lo stesso figlio tuo divino ne è garante dacché vi si sottopose, non distinguendoti più nell’amor suo, dal padre. Quel padre il cui spirito egli permise trasparisse dalle ferite sue mortali, nel sacrificio suo estremo, quando a te sfuggì dal cuore, tutto di esso ricolmo, punto da indicibile dolore. E poi questo viver nel presente della tua custodia ben ci ridà quella somiglianza a lui primigenia, perduta per l’ereditata tendenza alla cupidigia, il più significativo dei mali morali, che ci opprimono, perché se vero tu ci hai riportati all’innocenza originaria, facendoci tuoi, questo risentirci innocenti, come mo mo ricreati, fonda la speranza nostra di somigliargli daccapo. Ma sappiamo che il padre vive un eterno presente, perché dice di sé: io sono colui che sono. Ora l’originale ebraico, è possibile intendere diverso, e la lingua ebraica scritta lo permette, essendo taciute le vocali delle parole, e suona come: io sarò sempre chi sono ora! Così questa definizione di sé, alla richiesta del nome fattagli da Mosè, aggiunge anche dichiarazione di fedeltà all’uomo e se, nella supposta veridica somiglianza a lui riacquistata, di noi invece parliamo, questo nomarci, definirci fonda la speranza che la felicità attuale perduri: noi saremo così come ora siamo! Ecco, vero nulla sappiamo di lui se non dal figlio tuo e da te svelato. Questo pensarlo così, “semper fidelis”, e di simile pensando di noi, sempre oggetto della fedeltà tua e capaci di contraccambio, tranquillità ci offre come se la nostra navicella traversi ora zona di bonaccia e ne possiamo restar speranzosi di ancora blando futuro. Ma forse viver così e pensarci esentati dai comuni affanni di vita, è come star separati, in una realtà fittizia e melensa di vita, che poco vale se vi indulgiamo. E’ un comune stato dell’animo nostro tormentato quando raggiunta sia una relativa calma, sentirsene come in colpa, e qui appena oltre c’è chi si dispera del male che l’opprime e l’angoscia, e questo sentire acuisce. E non si può esser felici certo che altri stia in angustie, ma è dolce alla fragilità nostra saper ciò che la vita ci risparmia, come sublime ne poetò Lucrezio. Ma io non sono tra chi dalla riva osserva l’immane fatica del naufrago che tenta di guadagnarla, sono uno che sente propria la pena dell’altro, sta, ma col cuore con lui va, o almeno uno che sempre vorrebbe che così gli accada. Sì, io vorrei agire per te, sentire per te, vedere per te, soffrire per te e far qualcosa, tentarlo almeno. Sì devo agire per te, pregare per te, non mosso da superstizione, per il mio vantaggio e l’esenzione, di cui la frequentazione con te forse m’illude. Sì, proprio non essere quello del calcolo, gretto e succhione da pagano novello, che richiede l’ascolto pronto della divinità sua, altrimenti melensa e di nessun pregio. Ecco io vorrei destarmi un mattino e sapermi trasformato in quell’uomo nuovo che agogno. Aprire le pupille riposate alla luce, pronunciare con tono nuovo le parole di saluto a questa donna, già inondata dal tuo sole, e risentirmi palpitare la vita come invito a una attività materiale e spirituale proficua. Cosa da non sentir più episodica ed eccezionale, ma abito naturale e abituale con cui andar incontro al giorno incipiente. Sì, io non chiedo un miracolo solo, ma più. Ciò che mi farà camminare pronto alla necessità dell’altro, col consiglio, col rimedio, esponendo o sacrificando la mia tranquillità e la dignità anche, se occorra per l’efficacia del suggerimento o dell’atto irrinunciabile. Sì, sto nella tua pace, sto nella tua grazia, ma devo condividere tanta vistosa fortuna! Ecco, ora cammino in questo bosco e mi viene incontro da ogni dove una gioia che par prorompere da queste cose, alberi, erbe, fiori, uccelli, minuscoli animali, tutte creature pregne di vita, di te. Ecco, io vorrei esser capace di trasferirla o di suggerirla nell’attenzione a chi pena, o angoscia distrae. Ecco, c’è sempre chi qui s’attrista e ha necessità di conforto. E parlano queste cose belle col loro linguaggio arcano, ridono, vedendo ciò che gli occhi miei cisposi non notano, e forse vero tu passeggi qui scalza a sentir di questa terra il palpito. E quello che della bellezza questo cuore recepisce, ad altri meno fortunati vuole trasferito. Sì, fa che io più non resti indifferente al dolore! Fa che io più d’egoismo non sia tentato e meritare, quando sarà che ti veda, così il tuo sorriso di madre! Ecco, vero io dico al fratello angosciato: tutto s’abbella si incolora e si profuma per noi. Coraggio! E, quando tutto perduto, ancora: coraggio! Miriadi di stelle si inseguono e attendono il sorriso nostro là, nel bel giardino della nostra signora!
Riuscirò, madre in tutto questo?
Ecco, altrove ho fatto metafora forte della nostra vita nel tuo perdono, è come se tu in utero ci tenga, gravida di noi tutti, fatti come innocenti. Vorrei risentirmela quest’immagine significativa e struggente nella mente e nel cuore e gridarti: madre, non rinunciare a me! Qui talora madri in profonda tristezza costrette sono a rinunciare alla vita in loro che si forma e pulsa loro dentro già amore. E questa metafora faccio con dolore, che non avvenga che per tentazione mia all’egoismo e alla mediocrità tu debba di simile intristirti per me. Fa che dal mio comportamento, più che dalle parole mie, ti venga orgoglio e brivido d’amore. Nulla, nulla desidero se non abbandonarmi a te e donarmi agli altri, e vero allora a te, con incrollabile fiducia. Talvolta fa malinconia a questa donna trovare in me incomprensione alle aspettative sue e di simile temo tu possa immelanconirti. Ma questa più timida si fa, silenziosa anche, supplice d’amore, e s’imperla di lacrime, all’apparenza immotivate, affinché mi corregga! E’ tua metafora, o meglio idolum, specchio, che di te copia e riflette, anche in questo?

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