giovedì 13 settembre 2012

La legge d'amore


Deserto di tenebre è ora qui e la sola speranza è nella misericordia tua, e tu, come espero, apparsa sei in questo tramonto di vita e vuoi ricordarlo a me proprio, già errante di umana follia. Sì, sei d’amore la stella e la speranza che esso sia appieno nella tua reggia là fra le stelle belle. Tutti candidati vi siamo e non esiste indegnità che sanata non possa venire e del farmaco tuo tutti bisogno abbiamo, più della aulente pioggia questi cisti, che ala fanno allo stradello che ora percorro, arsi da lunga torrida stagione. E, mai riconoscenti, ti facciamo continua ingiuria con gli atti carenti o brutti dalla propensione nostra al male, ma questi sono stimolo fresco alla tua risposta scontata, sempre benigna, e come se aria pungente il viso ti colpisca, tu ne vieni stimolata e scossa e redimi il nostro orgoglio vano con l’umiltà del tuo perdono. Sì, sei del dio l’umiltà che disarma e sentiamo rifluirci nel cuore la grazia, perché tu e il figlio tuo siete quelli che “corde suo benedicunt”, e quest’universo ci rifiorisce come fa giglio che all’aurora sbocci, ed è daccapo il nostro sì a questa vita, che prologo ora sappiamo alla tua, sebbene tanto carente e angusto. Ecco quanto diversi fa questa legge d'amore, sì, il vostro perdonare sollecito ricompone la nostra umanità sgretolata dal peccato e la dignità morale ridà, quando abbagliati da miraggi di lucro e dominio, di prevaricare abbiamo ceduto alla tentazione perversa. Noi non sappiamo quasi nulla di questo privilegio, che ci viene nonostante l’ingiuria lacerante che di continuo il nostro comportamento ingrato ti fa. La vita morale è assai diversa dalla fisica, è tutelata, privilegiata dal vostro perdono! Questa invece è di continuo minacciata, come veleno corrosivo vi si getti su da quest’ambiente, che attoscato tutto abbiamo reso, ed è la malattia, il dolore sicuro, la morte spesso. E diciamo che oggi, più che mai, vale per la sopravvivenza qui la legge del più forte o di quello che la fortuna di ben nascere, meglio qui adatti, e gli altri, i deboli, gli sfortunati, vi sopravvivono per brev’ora per essere rapiti dalla apparente sonnacchiosa morte. E benché di mille rimedi disponga la scienza medica spessissimo sono inadeguati, o indisponibili per le genti più povere, perché talvolta invano tenta di raggiungerle il braccio della carità tua armato d’ira sdegnata che tanto possa l'egoismo dei più abbienti, perché tuoi uomini speciali vi accorrono tentando di sgretolare l’iniqua sorte dei più miseri col loro aiuto coraggioso e generoso. Ma qui nel primo mondo talora non è molto diverso e come nembi carichi di nera pioggia si abbattono, molti ne restano vittime, se del dio denaro, che apra molte porte, non si dispone e ancora e ancora la vorace morte colpisce. E noi? Neppure riparare al mal dell’indifferenza di fronte a tanti misfatti sconcertanti sappiamo, o far penitenza delle omissioni nostre, o per il meno fortunato pregare. Abisso è il nostro di miseria! Chi lo colmerà d'amore, se non tu sola? Il nostro è un tragico cammino, rara v’è la luce dell’amore, buia è qui la notte della cupidigia diffusa. Ed eccoci nel bisogno e ci urge l’aiuto e nessuno lo da. Il bisogno con l’urgenza sua pressante ci dice che nulla possiamo se soli e nulla contiamo, nulla valiamo, solo pasto all'abisso sempre famelico, nell'abbandono e nel dolore. Ma diversa è la vita spirituale non solo vi siamo tutti chiamati, come possibilità, ma v’è certezza nell’accoglimento, perché nemmeno il peccato per quanto orribile può impedirla definitivamente, se il figlio tuo ha potuto prenderlo su sé, farsene soma, e tornare al mondo da cui era disceso. Egli ha spezzato le catene che impedivano l’accesso alla vita futura del peccatore, questo da allora e da sempre è perdonato ed è già amato da te, che lo consideri figlio, malato e bisognoso. Dovrà però egli ravvedersi con dolore di aver fornito alimento all'indomita fiamma del male. Lo farà davvero, o non s’arrenderà nemmeno all’evidenza dei misfatti suoi? Forse il dubbio è solo una possibilità, cui la mia mediocre capacità umana d’amare, non vuole rinunciare, non conoscendo vero la forza dell’amore tuo. Ma è certo, senza ravvedimento, il nulla, il baratro di non essere mai stati. Ecco tuo figlio t’ha affidato la mia anima, tu mi custodisci e per quanto io tenti di ignorare l’amore, questo non rinuncia e tenta di possedermi completamente a ogni passo, a ogni respiro e vincerà al fine tutto pervadendomi. Tu mi riconduci al suo gregge, io pur desiderando il ritorno m'ero impegolato nelle pastoie di qui, che sempre di te schermo fanno. Tu m'hai strappato i laccioli che prigioniero mi tenevano e io docile ti seguo, null'altro che la pienezza dell'amor tuo desiderando. E do la mano, col piccolo bene tutto per lei, a piccola donna che so ami. So di condurtela anche se spessissimo mi par da lei esser condotto, perché sempre è pronta a lenirmi il dolore, a scusare la mia dabbenaggine, il mio procedere incerto e bolso per quest'erta che dalla meta ci separa e se questa caligine gli occhi tuoi non mi fa vedere, vi supplisce con i suoi. Non è forse di te “ idolum”, specchio, più che icona? Ecco io già ho di te così forse solo una briciola d'amore, ma tutto mi riempie il cuore. Ma quando la smetterò di cullarmici e tornare ad essere io chi conduce, se spessissimo ella sola sembra sapere come andare, e dove, guidata dall'istinto suo, dalla volontà sua di appartenerti? E io non ho più orgoglio di maschio, forse l'ha già redento l'umiltà e non dei mercanti della salvezza mi fido, ma della dolcezza materna di questa, che sempre mi prova con la tenacia sua che, nonostante tutto, sono un valore per te. Io che non ho nulla di grande, nulla d'eroico, nulla del vero cristiano. Solo apprezzato m'ha un piccolo amore, prologo al tuo immenso! Mi fa vivere, mi fa sperare. Ma ora mi chiedo, se la carità tua s'impoverisse del perdono che ne sarebbe? E se io stesso non sapessi perdonarmi e gli altri perdonare che sarebbe la carità mia, se non solo fantasioso isterismo, erotismo tardivo e senile, gabellato per misticismo? Ma tutto il male del mio cuore è vinto, dacché, perdonato, ho imparato a perdonare. Non è questo lo specifico dei figli tuoi, non rassomigliano per questo al dio, non è stato profetizzato fin dall'origine dei tempi: “vos dii estis?”. Sì, siamo figli del tuo amore e un giorno saliremo a meriggiare tra le braccia tue, dalla notte di qui che tutto rabbuia e di paura tutta l'anima prende! Oh se per questo piccolo amore più importanza non avessi! Sì, sol esso mi da forza di gridarti:” vince in bono malum”!

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