martedì 4 settembre 2012

Amore che torna


Ecco questa tua è una comunità di vita, io mi ci sento per destino, arreso e fattovi schiavo, ma d’amore e tutti lo sono qui di qualcosa o qualcuno. E tu di chi subisci la soggezione? Forse di tutti in questo strano reame che ha la regina sua, “parva puella” per tutti, ché l’amore sì doni e la gioia, ma per te dipendi dagli altri, perché sorridi se gli altri lo fa, mentre peni di ogni tristezza e dolore, s’è alcuno li avverte. Sì io son qui e più non corro, ché la vecchia condotta di difesa nella fuga più non vale di fronte al dolore, e me lo ritrovo tutto nel cuore! Eccomi tuo specchio, faccio quel che fai e dico le tue parole, perché sublimata s’è questa vita, s’è fatta luminosa e feconda, ma non sono esente dal male in cui cuore e corpo indugiano. Ora però ogni tristezza che faccia ombra a un cuore, pur dove folgora il sole, è la mia, e ogni dolore, che scampo non dà nemmeno nei recessi più romiti e bui, lascio mi prenda e a me fermandosi, forse di sollievo è un po’ questo farmi scudo a chi ne pena. E sono felice di somigliarti così, ma è mia debolezza chiederti: “serva me defende me ut rem ac possessionem tuam”. Ma se vero virtuoso fatto, vi durerò? Tenterò di dire come io viva questa perplessità e la paura di fallire ancora, e vi tenti rimedio. Accade talvolta che gli eventi siano così pregnanti che quando Morfeo alle vaghezze sue ci cattura, ci sembra che quei vissuti continuino, oppure è lì che ciò che preoccupa da desti si aggiusta, o si accentua con affannose risposte dell’inconscio. E a volte si rimane perplessi al risveglio perché lì lì non sappiamo se un accaduto sia stato completamente reale o vi abbiamo aggiunto, e le risposte a un problema che ci assilla, adeguate nel sogno, sempre fragili saranno, ma inquietanti talvolta da influenzarci da svegli in qualche modo e misura e la razionalità non ne giova e certe paure ne riescono addirittura aggravate. E io nel comportamento onirico condizionato sono dai fantasmi di sempre, che mi raggiungono e debole sono per certi vividi ricordi e capita che mi ci ritrovi sconfitto, immeschinito da una tristezza che gela, che trovar mi fa come in vicolo cieco, dove non so e come mi ci sia cacciato e se sia desto o no, e lì mi so solo, mi ci vedo sporco e brutto, e mi ritrovo piccolo bambino che nessuno intenerisce o innamora. E poi mi capita di avvertire la pace del tuo sorriso come sfumata tutta e più vederti non posso, nemmeno in questi occhi buoni, che sembrano intuirmi la pena e mi guardano certo da cuore accorato. E’ l’angoscia daccapo, che iniziata nell’incubo, si continua da sveglio! E questa donna sì mi ripete: ma tu hai ora me! Ma come mi separi da lei una distanza e un gelo, più non la intendo bene e più calore non ne avverto, m’è come estranea! Ma mi ritrovo nella sua mano tenuto e a camminare, stracciato, sporco e affamato. E questa donna che mi conduce bambino è ora magra e stanca, smarrita e imbruttita ed è la mia pur giovane madre, che tiene me e mio fratello dall’altra mano e c’è un vociare intorno di tutti, che gridano e invocano dal cielo, o forse scongiuri ne fanno, o frettolose preghiere dicono, e cercano scampo atterriti dalla sirena che preannuncia morte imminente dal cielo in questa stazione di guerra, Trieste forse o più su in Istria, in cui mio padre non c’è e qui avrebbe dovuto attenderci, fuggiti da Pola. E poi è tutto uno squasso e un rumore assordante e grida e pianto. Ma ora son di nuovo adulto e questa mi porta e sembra saper dove, quel ricordo è svanito e chiarito m’ha perché ho in odio le stazioni tutte e i treni che vanno e di più i soppressi o quelli annunciati che mai arrivano, e gli smarrimenti tra la folla, di sempre frettolosi o sbandati o indifferenti. E siamo soli in questa petraia senza anima, che indichi la via o dica conforto di parola, o ne faccia gesto, o presti in alcun modo l’aiuto suo, tutti si son fatti larve nascoste nell’egoismo loro e vi rosicchiano e vi sbavano! Ecco di nuovo il vento, che porta via le mie parole e gli occhi acceca di polvere e fa tremare questa piccola donna, che invano rivesto di quel che ho e le sta abbondante, ma non basta nemmeno l’abbraccio premuroso a difenderla scudo facendomi alle folate ottuse. Ma forse è una visione ancora, perché ora procediamo in calma apparente e io la seguo docile e non faccio più motto. E siamo ora nella volgarità tra insulsa gente e ilare, e di noi deboli e meschini, approfitta, perché nel motteggio suo ci include. Ma ella va, non so cosa l’orienti, ma la determinazione sua mi da fiducia, e siamo già oltre, e tanto ora sembra spedita e io con lei rincuorato. Forse torna a te, ma io non oso chiederlo e lo fa per una via che lei sola sa. Io non saprei come fare, ché nessuno insegna a ritrovarti, qui superficialità grossolana di pur tante parole e insulse tra crapuloni ilari e il freddo, il freddo dei loro motteggi! Ma questa par sapere e io, docile ai passi suoi, so di tornare, e il cuore spezzato ho nel suo umile e buono, e mi lenisce ogni pena col suo amore tenero tutto, solo umano, o più che umano, se già il tuo è. Ecco due meschini che si sostengono a vicenda, uno inebetito, l’altro determinato che par sapere che fare, sì cerca di te, la luce che sola sa che illumina e scalda. Ma io non vedo luce alcuna e procedo come fa cieco, di lei fidandomi, qui dove par camminiamo tra cose tutte morte o senza senso. Ma ora l’invito a restare e, impietosita da tanta mia stanchezza, tregua m’accorda e io il mio capo alla morbidezza del suo seno affido. Vorrei addormentarmi così o se già dormo sognar di farlo così e scivolare nel nulla, ché ella mi fa carezza e all’oblio mi invita. E così di me faceva la madre cara rimasto solo, privato del fratello amato, e, stringendomi a sé, mi diceva che tutto era stato un sogno, un brutto sogno e l’indomani presto sarebbe venuto con la luce sua e il tepore, sì,a far luce e calore nella nostra sola stanza in soffitta in cui il buio faceva paura non meno del roder dei topi. E allora invito questa donna ad addormentarsi lei pure, e la rassicuro, perché la madre amorosa certo già ci cerca e sicuro più fortuna avrà. Così in un cantuccio abbracciati il nuovo giorno ci trova o sogniamo che così faccia. E siamo forse di nuovo nella tua pace, ché bella signora par passeggi tra i fiori suoi, o forse davvero ne sogniamo soltanto in un bel sogno antelucano. Sì abbiamo fatto tenerezza alla notte e forse i cuori nostri si sono fermati o forse un sogno a due abbiamo fatto, prima d’incubo ora sereno, scaldati alla fiamma d’un solo amore! Ecco tu ritorni, torna l’amore divino a sublimare questo piccolo tenace amore umano e nessuno più rapircelo può! E parole dolci dici e coccole ci fai, tenendoci bambini sulle ginocchia tue. Oh come bello è l’amore e più ancora ritrovarlo! E di questa ti dico:
Parva est puella ista sed apta amori!

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