sabato 8 settembre 2012

L'idillio della vita


Mai dirò abbastanza della donna che della presenza sua fa qui idillio, atmosfera incantata e sognante in cui palpitar può la vita. Non facile questa mai e non bella talora, in cui spesso il cielo si vela, e s’abbuia la notte, e si grida all’aiuto e quasi mai v’è altri che risponda, ma in cui ella, se ci è vicina, può far dolce oblio del male, non lasciarci perder nel buio della notte o nella vaghezza di sogni antelucani impossibili, ma farci varcare per brividi l’aurora che porta il tuo sole, se lascia di te balenar la presenza dolcissima. Anela la mente per istinto alla luce del vero, ma può perdersi in ragionamenti cavillosi e falsi e non raggiungerti, ebbene ella può condurci, guidarci, spiegare spiegandosi, lasciando capire della sua ricca umanità il valore e il fondamento, e così dischiuderti, lasciar che ti comprendiamo un po’ o molto, svelando l’intimo del suo cuore, che reca dolcezza, sì, sempre di te, ché questo sei. Oppure può l’anima arenarsi per l’erta di vita, che a te mena, in un fideismo da isterico devoto. Ebbene ella può correggere questa tentazione, questa devianza, che sa di superstizione e paganesimo, lasciando intravvedere le delizie dell’amor tuo casto, anticipandolo nel prologo, che l’amor suo, solo umano, ma inestimabile per la ricchezza, può donarci nell’innamoramento. Insomma vero disperato nell’anima è qui chi di madre mai carezza ha avuto e il sorriso, o quelli di donna innamorata, nullo sentore potendo avvertirvi della dolcezza tua. Ma poi anima che è? E’ il garbuglio dei nostri sofismi egoistici che preservano l’intimo, il sé, o la sede degli aneliti più puri, che pur nel fango ci fan guardare al cielo stellato? Allora se è anche questo, preziosa è l’anima della donna, che lasciandoci dimorare in essa, ci dona del suo, bello e buono, del suo bene, del suo respiro, della sua vita ed ella mai permettere dovrebbe che l’amore scada nel vile e nel triviale, che significano separazione e allontanamento da te. E io ormai più non temo d’apparir vecchio, d’idee confuse, che bofonchino di virtù forse mai sfiorate, e melenso e retrogrado, incapace di capir lo spirito dei tempi. Sarà pur vero, ma della donna ho capito l’importanza e mi faccio orgoglio di questo sapere. Forse è vero che non vi so tutto leggere, femmina rimane a me mistero, ma anche tutto il resto m’appare ormai confuso, un blaterare bolso, inteso ai primi posti nella corsa alla vita e ad ottener della donna,a torto fragile creduta, i favori, quella che spesso par s’agiti sbattuta da contraddizioni e senso di inferiorità, che vero mai dovrebbe avere, per non donarsi al bruto vile e poi pentirsene. Ella invece ha destino più impegnativo rispetto al maschio e deve essere forte in sé per ciò che la vita le domanda, ma pur cerca da quello ciò che invece spesso deve dargli, sicurezza anche e protezione, ché quello quasi sempre è fragile pur sotto apparenti doti. Ella dovrebbe sentirsi di te l’icona e non del maschio la faccia speculare con le stesse carenze e pulsioni e tormenti e annebbiamenti. Così l’umanità, senza femmina consapevole, galoppa all’abisso. Invece se in alcuno v’è asilo per la pace in cui germogli la vita e quella virtuosa attecchisca, è nel cuore della donna. Ha la virtù, che non consiste nell’esser perfetti, non essendolo alcuno, ma di non lasciarsi impegolare nelle gore fangose, e di scamiciar mente e corpo dei fantasmi illusori, dei luccichii inconsistenti, e non lasciarsi irretire, lottando le lusinghe dei falsi, e cercar di non perdersi tra le polverine dei raduni assordanti e, se presa, può uscirne, lottando con più tenacia, se aiuto le si dà. Ma più ancora capace è di lottare per la salvezza dei suoi e personale, perché talvolta è conscia di vestirsi dell’abito inconsultile tuo e andarne orgogliosa, e d’esserti specchio, concedersi la vanteria. Talaltra, non ha la consapevolezza dell’importanza di farti percepire prossima, nella carità e nel soccorso a chi il male prende, ma comunque lo fa dalla generosità che le è propria. E poi è sempre colei che ci sorride piccoli, raccoglie i nostri sogni, canta e ninna, e dice le fiabe, e soffre con chi di noi soffre, attenta, premurosa, soccorrevole, e sa gioire delle gioie nostre sane e ridere, da lasciar prorompere la sua gioia intima, e il suo sì alla vita in ogni circostanza. E in fondo il maschio è un piccolo bambino sempre, da teneramente cullare e soccorrere e sostenere e incoraggiare. Sì, dare al maschio la consapevolezza di toccarti e che esso proprio dimori nel tuo amore se il suo umano contraccambia. Ecco il compito, prezioso, precipuo della donna qui, e lo fa, lo tenta per istinto, anche inconsapevole di ciò che, autenticamente bello, le sfugge dal cuore. Ecco, una donna può aver sciupato tutto di sé, essersi trascinata fino al ridicolo delle apparenze di una giovinezza voluta prolungare, ma ormai di trascorsa bellezza, e temere il baratro del niente, l’amarezza della vecchiaia e dell’abbandono nella solitudine, l’inutilità della corsa alla carriera, ai figli, all’amante, della dedizione a compagno mediocre e immeritevole, ma d’una cosa può sentirsi sempre fiera, averti portata tra noi. Ecco, solo così ti vediamo, per essa non altrimenti, e ti ascoltiamo e siamo con te e in te, tanto da poter gridare: che importa il resto? Sì, solo così possiamo gridare al cielo che vuol chiudersi, in cui pur s’affoltino nuvole a lor capriccio, il nostro sì alla vita, e nulla potrà vero vincerci, nulla vero perderci, perché se dimoriamo tra braccia di madre, di sposa, d’amica, dimoriamo vero nel tuo amore!”Dulce pro vita viri foemina”!

Nessun commento:

Posta un commento