lunedì 10 settembre 2012

Il mio solo dio possibile


Dovrò qui far premessa al mio dire, che le mie aspettative anche se misere, appieno giustifichi, spero in un linguaggio, che non stanchi se metafore che lo rendano leggero so di non avere, descrivendo un unicum di speranza per l'uomo da sempre, che ha fondamento in te, madre dell'umanità tutta. Io so che dire che il presente è del dio il solo tempo, ha implicazioni sulle quali si riflette da molto. Se san Bernardo può dire: oggi è nato il salvatore, è perché pensa incessante la nascita da te, cioè tu hai un figlio divino da sempre, non solo da prima di questa mia epoca, ma prima di tutte, la natività abitando nell'inaccessibile luce del dio, prima che il tempo fosse. Tu lo occulti in te e lo ridai al mondo incessantemente, e dire che egli è nato nella carne, rivestito della tua, è affermare che in un momento preciso l'evento è divenuto visibile,tangibile, ma alcun altro gli è precedente e di nessun altro potrà affermarsi lo possa seguire, perché la sua nascita da te e la sua morte di croce sono perpetue, come le sue parole e i suoi gesti, finché lontana il nostro mondo. Io ho già detto che riconoscersi tuoi figli è da allora possibile. Egli nell'imminenza della morte, t'affidò il destino del discepolo amato, lasciandogli l'illusione che dovesse lui occuparsi di te, vedova e sola, senza altri figli, in un mondo difficile più che mai per la donna, dove lasciarti doveva per brev'ora. Ma come ogni contemporaneo, noi posteri gli siamo fratelli in quest'affido, ma questo ha anche valore retroattivo e tutti quelli già prima stati, che ora sono nel perdono del figlio tuo, vi hanno accesso. Ed è proprio quest'offerta che trasforma la benevolenza sua nel “per donum”. E molte volte ho già detto che intender si deve con questa locuzione etimologica della nostra parola in volgare, ci tornerò a breve. Sì, tutti proprio vi siamo chiamati e tu dovrai generarci al mondo nuovo, ma ora nella gestazione tua, siamo! Essere in te, dover uscire da te per vedere del dio la luce! Quale meraviglia! Si potrebbe dire che il dio ha tanto amore versato in te, che dal piccolo vaso che è in te, di continuo trabocca, e ne esce il dilettissimo figlio e moltissimi fratelli al pari amati e così sarà e così è già stato! Oh inesauribile bontà del dio! So che la mia immagine è metafora, come dicessi che quanta acqua venisse dall'oceano in un piccolo seno tanta ne uscirebbe, ma ogni immagine povera sarebbe a illustrare questo mistero d'amore. Ma almeno chiaro a me è perché occorra parlare di “per donum”, oltre quello che dalla povertà della nostra condizione umana, potremmo mai sperare. Perché noi riceviamo più di ogni immaginabile dono, abbiamo in perpetuo una madre! E come ogni sacramento è la tangibilità del dio attraverso un evento salvifico, che in quanto permanente, si realizza ancora e viene percepito attualizzandolo, così questa immagine di te è il sacramento, che apre una finestra su una realtà altrimenti nascosta. Sì, tu produci il mondo sovrannaturale perché di continuo lo popoli, generando alla vivente chiesa di qui nuovi figli, ma alla celeste anche, e la redenzione è consistita, nel permetterci, tu consenziente col perpetuo rinnovo del tuo “fiat”, di farci fratelli del figlio tuo diletto e seguirne il destino d'amore. Destino che non esclude però la prova e il dolore, né la morte, come già per lui. Occorrerà salire un calvario personale, ma dopo sarà la rinascita e la luce ancora e da te sola. Ora io credo che il figlio tuo si persuadesse, il suo salendo, e tutto cospirava rendere plausibile la sua convinzione, d'esser la prescelta vittima sacrificale della malvagità umana, che i peccati scaricava sul capro immacolato nel rito della purificazione, che simbolo ne diventava assumendosi ogni macchia, presupposto il pentimento vero dei partecipanti tutti, e lui anticipò il suo sacrificio nella fiducia che il pentimento dei suoi e di ogni altro, sarebbe al fine venuto! Ma vittima sacrificale fu questa, padrona del tempo, ed egli poté dare un valore perenne al suo sacrificio. Ora tutti beneficiamo di questa fiducia, che ci permette di stare in te perdonati e costituiti fratelli suoi. Egli non chiede nella chiamata sua garanzia alcuna, ci sa non buoni, ma sa lo diventeremo e ci accorda fiducia, e sarà così perché egli non può essersi sacrificato e continuare a farlo, invano! E, come Paolo afferma, quando sarà che il male ci colpisca con ineluttabile evidenza, contribuiremo con ciò che manca alle sofferenze sue, come tu stessa facesti col dolore tuo, lui pendente dalla croce, per un evento che sempre si rinnova, nell'azione sua salvifica. E tu tanto gli somigli che nella fiducia ci anticipi il tuo amore dal più dolce e tenero cuore di madre, e la stessa carità che hai per il figlio divino ci assicuri generosa. E come egli ha tanto sublime amore per te da non distinguerti più dal padre, così tu fai allo stesso modo, amando noi all'inverosimile. Niente di più sublime è concepibile, condividiamo il destino d'amore con cui le persone divine si amano! Ma per ora il nostro contraccambio adeguato non è. E' piuttosto manco e il poco che c'è, è completato dalla violenza. Ché violenza è assillarti di richieste d'aiuto dalla miseria nostra. E più che esenzioni, qui umanissime e giustificate, tanta è la carenza di luce e di pace e così forte la minaccia del male e del nulla, altra risposta ti dovremmo! Sì, dovremmo occuparci d'altro, così sarebbe buon motivo di carità, il farsi essa palese, sempre in evidenza, noi sostenendo col gesto e la parola la speranza nel fratello, con un comportamento, certo non perfetto, ma chiaro anelante alla virtù, adeguato alla presenza nostra già in te. E tu costruisci il mondo della luce e della pace a misura dell'uomo nuovo, che da te verrà fuori, e che dovrà abitarlo. Io dalla pochezza mia, m'attendo un piccolo modo d'essere, adatto alla spiritualità mia e di chi amo, un luogo sì di luce, pace e bontà ma piccolo e bastevole. Ecco, è lì che il nostro già mondo di due sublimarsi potrà. Così scopro il mio modo di somigliarti, non con la purezza del cuore, che tante contrarietà hanno offeso e fatto triste, che sempre s'è qui ritrovato nella corsa della vita in vicoli ciechi, ma nell'umiltà, nella pochezza delle aspettative, che pur mi contenterebbero, e temo di non aver altro per te, il resto mio è follia, caleidoscopio di follie. Da farmi temere che tu di me ti stanchi. Ma da chi andrei? Chi per me avrebbe parole buone, che cosa fonderebbe la speranza di rinascere diverso? Tanto misero sono che nemmeno il gregge d'Epicuro m'ha voluto, eppure accetta porci! Ma almeno invidioso non sono, uno che di forgiarsi è capace un dio strozzino, un dio che pretenda l'esoso interesse sulla fiducia accordata, da far sogghignare folle, e dirsi: se questo a me tocca forse più ancora pretenderà dall'altro, da quello la cui fortuna non ho tollerato di vedere, ho invidiato appunto. No, così io non sia mai! Allora tu sei il mio solo dio possibile, una madre pronta a scusare la mia dabbenaggine, questo mio procedere goffo nel mondo della carità. Poiché ti so tutta bontà, buona con me già sei e sarai là dove tutto è carità! Ecco, ho ancora detto tanto, ma in fondo che, chi sono? Il poeta nostro direbbe: io mi sono uno che..., ma io proprio non lo so, forse solo chi ancora ha la forza di pregare umilissimamente che il tuo mondo vero sia. Perché? Vorrei tu vi supplissi ai miei manchi d'amore! Ecco, qui m'ha fatto caligine il male e il mito t'ha schermato, si specchierà mai l'anima mia fatta pura nel vero?

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