martedì 9 settembre 2014

Che fa l'amore nostro?











Talvolta vento di primavera, che fresco dal mare salga fin qui, fa canoro questo bosco, leggero correndo tra gli alberi annosi, ché lor foglie scosse appena, rispondono con loro armoniche, e ne viene un'armonia che dolce suona a orecchie attente, e diresti che il bosco stesse ad attendere sollecite invisibili dita, ché dalle pizzicate corde ne venisse melodioso canto, fino ad allora trattenuto, ma atteso sui passeggiati sentieri da solitario, sospiroso cuore! Quello che, recepitane la dolcezza, frequente richiami agli occhi suoi un desiderato volto, e di rispondere frema con sue note a quel cuore che ad ascoltarne armonia sogni predisposto, quando finalmente lor bella favola d'amore a novellare inizi. Se simili premesse ci furono per quella del cielo, creduta in trepidante attesa, prima che, gli occhi al cielo, le gridassi amore, non so. Ma certo di simile m'è accaduto, dolce compagna, nel mio lontano innamoramento di te! Quando in cuore combattuto ero se cedere alle tue ingenue lusinghe, dettate sincere come le altre cose belle che da cuore puro parevano venirti fuori, desideroso di condividerle col suo primo amore, vero così o dal mio, illuso, sognato tale. Sì, dimentico il mio, dagli occhi tuoi incantato, di tutte le delusioni passate, ma titubante se stringerti tra le braccia o starmene in disparte dalle femmine di qui, restatone di recente amareggiato, ma, paradosso, pronto ad ancora amare con l'ingenuità perdente di sempre un angelo in terra caduto. E io così ti vedevo! Ma perché ora così ti rivedo? Non so, ma un perché ci deve essere!





Forse che la bella del cielo, richiesta di quando mi porterebbe in cielo, è come m'abbia risposto, Ma tu ci sei già, ché nel cuore ti porto! ? Ma i miei pensieri d'allora di cui le parole, sicuro belle, più non ricordo, né questi d'oggi, che tu mi suggerisci, dirti potrei. Sarebbe come chi, per rendere il senso dei versi d'amore per Lesbia, ne alterasse la bellezza, il nostro più spontaneo poeta d'allora avendo scritto di quel suo amore nella nostra lingua madre. Né quelle che anche a te celo ad altra donna ripeter potrei, illudendomi della stessa mia fortuna con te, le avvertirebbe inadeguate, estranee al mondo delle aspettative sue, risibili forse, ma certo non per quella del cielo, che m'illudo, m'abbia davvero nel cuore, ché te mi ha dato! E tu, sapendo che le ho sciupate, ad altra di qui confidando il mio intimo, ne resteresti offesa, eppure ancora m'ameresti, tentata però di esser innamorata in tono minore, giudicandomi immeritevole di tanta dedizione, sconsiderato il mio comportamento, ma credo senza riuscirci! Ecco, è proprio vero, ogni amore ha un linguaggio suo proprio d'intesa, che non consiste tanto in parole, pure importanti, ma in piccoli gesti, attenzioni ai fatti minimi, intuizioni permesse dalla stretta, lunga confidenza di due cuori, che avvertono se qualcosa l'altro turba. Sì, parlano gli occhi dell'amato anche senza parole, ragionano, comunicano l'inesprimibile, come una bella canzone nel nostro vernacolo vuol significare, “ uocchie ca' ragiunate senza parlà”, inutili davvero allora le parole! Quelli stessi occhi che nei primi approcci hanno voluto significare, Non lasciare cadere i sogni tuoi, realizzali con me! Ecco, tutto questo fa la preziosità e unicità d'un amore, anche del nostro. E due che s'amano vivono la loro vita come un anticipo qui di paradiso e il loro star l'uno per l'altro fa la loro nostalgia struggente di qualcosa che li attenda, o di qualcuno che guardi al loro mondo di due e li segua ovunque vadano, angelo di luce e d'amore, che sempre provi a proteggere la piccola gioia che realizzano per l'altro, dalla banalità del male, che insidia, circuisce, assale! Ma tanto più alto l'ideale vissuto, più duro ne può essere l'assalto, e c'è vero rischio, ché se si perde, allora via per sempre l'irripetibile, l'amore! Ma l'amore stesso contiene un'insidia per entrambi, se il tutto intorno si trascura e solo all'amato è riservato ogni sorriso e dolcezza, ogni piccolo prezioso bene che qui si possa realizzare, nulla per quelli intorno, nessuna sincera generosità, insomma qualcosa che viva di sé e per sé, un egoismo condiviso! Ecco due aquile abituate all'altezza delle montagne, le vedresti andare libere, l'una a far suoi acuti lai per l'altra e a farlesi vicina quasi a sostenerne il volo per una meta sita ancora più in alto. Ma la carne di cui esse son fatte leggere, ha il suo peso e questo può esser mortale. Stanca ne può esser l'una e a far sosta su un appiglio si dispone e ad imitarla l'altra invita e quella lo fa che andar da sola senso non avrebbe. E così insieme stanno e intanto declina il giorno e gli ultimi raggi del sole indorano le cime innevate non raggiunte. Sopravviveranno al gelo della notte ma all'alba voleranno verso il basso, insieme restando, ché qualcosa di simile non accada ancora! Io non so trovare altra metafora per due che si chiudano, anzi si rinchiudano nel loro amore, di tutto dimentichi. Allora, ogni lampeggiamento di pupille, ogni carezza scambiata appaga, tese le orecchie a ogni sussurro languido e pronti gli occhi, spalancati, ad ogni sorriso, in un avvolgimento dell'un cuore nell'altro. Alle aquile della favola è mancata la forza per poggiare alle vette supreme, ai nostri poveri cuori amanti, quella di estender l'amore, non rinchiuderlo nella statica sicurezza di difendere il raggiunto consolidato, il dolce calduccio del tenersi tra le braccia, invece di farsi grido per essere pronti alla lotta. Verso che o chi? Tutto ciò che contrasta, vuole confinare l'amore, non permettere il coinvolgimento d'altri nello stesso progetto di bene, tutto ciò e chi ad esso si fa nemico. E non importa quanto di più s'acuisca l'odio e la sua rabbia infernale, è già sconfitto, sebbene raddoppi gli assalti suoi, ché protegge l'amore chi ha detto di perdonare e amare il nemico perfino, “Diligite inimicos vestros”! Un vero amore può essere schiacciato, ucciso, ma mai s'arrende e vivrà ancora! Lo garantisce quello stesso che ha detto, “ Ego sum resurrectio et vita...”! Sì, al termine di questa parentesi terrena potremo dirgli, chi, qualunque cosa sia il male e da che ne venga tanto accanimento vigliacco, sì saremo proprio capaci di dirgli, Hai vinto la tua battaglia! Ma ci hai anche liberati, ti perdoniamo! E dalle vette che ora raggiunger potremo, forti aquile fatte le anime nostre, t'ameremo perfino nella protervia tua rinchiuso!




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