È
un po' che questa riproduzione d'antica icona bizantina guardo. La
madre ha lo sguardo come interiorizzato, all'apparenza vago, non
rivolto ad alcun oggetto. Forse beatitudine esprime di chi l'ha in
sé, ma al momento non ne dispone da farne dono. Il figlio, piccolo
adulto, le sta in braccio e guarda in alto a qualcosa di un
improbabile cielo. È sì sacra, fascinosa rappresentazione, ma è
bella per se stessa, penso nulla comunichi, nulla doni, non è per la
preghiera mia, che ha bisogno di sentirsi accolta! Io prego sì per
chi qui ha salvezza minacciata, così per il figlio mio, difficile e
precario il lavoro suo, e per la madre sua, che si consuma d'amore, e
per chi li ama, ma ho bisogno, per farlo convinto, con calore, di
sentirmi perdonato. E allora devo chiedermi se quella del cielo
benigna già mi sia stata, con l'agognato sorriso suo già
preziosità dell'anima mia. Sento d'avere nel cuore qualcosa di
grande con cui avallare il mio desiderio, la possibilità di
perdonare quelli da cui male ho avuto, quelli da cui ho sofferto,
perdono avendo già chiesto fino al pianto per quelli che ho offeso.
Basta? Lo deve! E vi aggiungo tanti sospiri dalla mia sincerità con
gli occhi daccapo velati. Perché? Se così non fosse, una
contraddizione vi sarebbe nella mia fede, io, gli avversari della mia
pace perdonati tutti, più benigno sarei del misericordioso, senza il perdono suo! E allora
sorrido di questa bizzarra congettura, solo logicità della mente, e
cerco la amorevolezza del cuore lasciando i grani scorrere delle mie
“ave”.
Se di premessa ha bisogno la mia preghiera è solo d'amore, ché m'avverta già perdonato.
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