giovedì 4 giugno 2015

Lettera nuova alla compagna



Se le parole sante della preghiera sapessi, certo per te al grande medico, ché per me ti prevenga il male o ti guarisca se esso t’avesse già preso, le direi vero efficaci. Ma non ho da dirgli che non solo scusi la mia ignoranza, ma anche d’esser cosciente di non meritare, dalla mia pochezza spirituale, che nemmeno una sillaba la madre sua mi suggerisca. Ma così mi accorgo che è proprio l’avere questo fondato rammarico, come ammettere che c’è procedura, a me ignota, nel chiedere per ottenere, nella necessità pressante, da chi può. È come aderire alla religione delle parole speciali, dei riti e degli officianti, che sempre vogliono interporre la propria insipienza tra noi, che chiediamo nella disgrazia o nella necessità, e il dio. Ma se davvero così, avrebbe vinto il male, e ammettere dovrei di aver cercato inutilmente il dio, in me e negli altri lontani o assai prossimi come anche tu sei, nei malati e nei sani, nei savi e nei pazzi, nei virtuosi e nei reprobi e di non averlo trovato. Sì, se non nella speranza che arrendersi non vuole e proietta il mio incontro agognato al di là di ogni apparenza, verità o falsità, di cui è pregna, da distrarre dal vero compito che è cercare il dio, l’esistenza. Sì è così, essa me lo farà trovare nella morte, che, proprio perché incontro con lui, è anche tempo nuovo e luogo delle persone care ritrovate. Gonfio intanto ho cuore e mente della presenza tua sentita precaria e allo stesso tempo irrinunciabile, ma anche vi affollano, ad aumentarne l’ambivalenza nel volere che tu rimanga e l’arrendersi all’ineluttabile, vividi ricordi di te da sempre presente nei miei sogni di innamorato. Un tesoro che temo scemi e tento di trattenere, tanto insicura la vita, nascosto il dio! Allora arreso, sfiduciato o per aver un po’ di sollievo lascio che dagli occhi velati lacrima scenda piano sulle mie guance. E tu accorri e t’allarmi. Ma io ti rassicuro, è sì un po’che io tema per il nostro destino, ma anche nostalgia del passato, così dei tuoi vent’anni e dell’ingenuità tua, conservata fino a quei primissimi tempi d’amore! Sto forse sfacciatamente mentendo, dal momento che i miei dubbi sul vivere qui senza risposte, con te non condivido in tutta la durezza loro per non farti angoscia? Forse no, se parla il cuore e non la mente degli inganni. Ma tu chissà perché ora temi che, nostalgico, anche ad altra io pensi, smarrita e me ne accori. Allora dal cuore che ti dico? Che tu sei così particolare in quel che dici e pensi e nella fisicità tua, che stella già sei, non come, ma più ancora dei mille splendori di queste notti d’incanto, tanto che se altra lontana mi ricordi vaga, ella è sì ormai come stella, se cara mi fu, ma che più distinguer non posso dalle tante altre simili, brillanze senza significato per il cuore, ma solo per questi occhi assetati di bellezza, come invece con te non accade, tra le altre belle distinta. Ma ora mi torna la paura di perderti e non di sapere che fare, nemmeno pregare, e di nuovo e più ancora ne ho sconforto, ma rimane dentro… Ma nascondo il volto, ché tu così triste non lo veda.

Nessun commento:

Posta un commento