martedì 16 giugno 2015

Ma quale è il vero dio?




Parte prima


E il dio fece l’uomo a sua immagine e somiglianza. È affermazione accolta per fede. Ma il credente può sperimentare nella sua vita religiosa che ciascuno finisce con l’avere un’immagine del dio assai simile al proprio sé, anzi al vissuto di questo suo sé. Cioè saprà che credere significa anche accettare che qui il tempo della vita possa rovesciare la affermazione biblica, perché è la creatura a concepire il suo dio. Qui dirò quello che la vita m’ha suggerito e la storia del cristo, che tenta di parlare a tutti e si ripete in molti. Ecco, c’è un’immagine banale del dio, è onnipotente fa e disfà della vita del suo devoto per ragioni sue, oscure. È una concezione molto diffusa e vi si aderisce almeno fin quando non si è presi, invischiati dalle cento e più insidie di questa vita. Ma anche nella disgrazia quest’immagine può tenacemente resistere e allora si chiede, si implora, ma nulla muta, si resta disgraziati! Allora vacilla la fede, è lume fioco che spegnersi vuole, e si resterà al buio senza farsene ragione, o forse, rimanendo una briciola di fede, pensando a una colpa o di non aver ossequiato abbastanza colui che può, almeno come molti fanno nei mattini domenicali, in cui sì, vi può essere vero incontro col divino, ma più spesso formalismo vuoto e sterile preghiera. Ma perché allora non pensare piuttosto quest’uomo, toccato dal male, come uno che conserva la fede, o meglio ha la vera fede, proprio perché mantiene, nonostante il vissuto, la speranza del bene che pur c’è ad attenderlo, qui o nella vita futura, sebbene sconfitto, soffocato al momento? Ha questi molto sofferto, la sua vita può essere stata un tormento per sé e quelli che l’hanno condivisa, tutta o in parte. Ma nel suo cuore finisce con lo scoprire un dio, che è sofferente almeno quanto lui, e che è uno incapace come lui di venir fuori da ciò che da ogni parte stringe e limita, sì, dal male, sì proprio come al cristo accadde e perciò riaccade. Non ha questo dio affatto conservato l’onnipotenza sua, ma per rimanergli accanto nella disgrazia o nella sfortuna che perdura, ha fatto di sé uno che accetta di condividere la sofferenza per amore, sì, soffre allo stesso modo o più ancora, sentendosi incapace di giovare all'amato.


Parte seconda





Ma potrà accadere che chi ospita il dio, nei suoi momenti meno bui si guardi attorno e scopra, ecco il miracolo, che non solo lui è nel cuore divino, quel cuore che egli sente dentro al suo, ma che questo suo cuore con la sua pena, ma anche con la preziosità che reca, sta anche in quelli di quanti sinceramente l’amano, proprio nella disgrazia, proprio nella malattia. Per il dio, che così guadagna altri cuori, non è tanto spartire la sua pena, ma di più. È come se dal dolore di quanti amano lo sfortunato, venga fuori la natura sua vera, non appena si abbia coscienza d’averlo nei propri cuori. Sì, ecco di nuovo il miracolo, è lui proprio col suo amore sofferente, avvilito, quasi o fin troppo umano, sì, è proprio il cristo, ma capace di significare e garantire che la vera ragione di tanta sofferenza condivisa sia appunto il bene futuro, da attendere nella pazienza da parte di tutti, e subito l’amore palese. Questo prima forse era sopito o confinato in una latebra del cuore partecipe di tanto dolore, ma ora non è più nascosto, ma finalmente capace di esprimersi anche con rabbia contro la mala sorte, perfino di ribellarsi contro un dio dimentico, quello dei benpensanti, esonerati al momento dal male. Colui che ama scorge sempre nel cuore dell’amato valori e positività e così fa il dio, anzi di più, novello cristo viene e abita quel cuore tormentato e quelli che sono intorno ne vedono barlumi in momenti rari, quasi d’estasi, ché loro stessi con l’amor loro gli danno rifugio e conforto. Sono i loro, sentori di un dio che s’è fatto veramente tanto prossimo da identificarsi col sofferente, è la storia del cristo che si ripete, e che pur abita nei cuori di coloro che il dolore condividono, perché solo gli sciocchi vedono in chi è in angustie solo negatività, disperazione, abbandono da parte del dio falso in cui sperano. Possano essere tanto fortunati da non essere toccati dal male, così da pensar nella vita tutta il loro come l’unico dio di tutti! L’altro, il vero ha bisogno del dolore per venir fuori! Ecco, tenera e quasi invitante è l’erbetta che la donna mia coltiva nell'orticello suo, ma è destinata a un buon uso di cucina e solo pestata manderà gradevole l’odore suo…

Nessun commento:

Posta un commento