giovedì 11 giugno 2015

L’infelicità del dio



Ecco due che dicono d’amarsi. Io e questa piccola donna. Ma che fa la nostra felicità? Io sono felice nella misura in cui la mia donna lo è, non di più. L’esserlo meno sarebbe ingratitudine, irriconoscenza per quanto questo piccolo amore mi crea intorno, un’atmosfera di pace. Ma c’è più ancora, è ciò che la presenza dell’altra nella mia vita sostiene, così il peso della banalità delle cose comuni che invischiano e trattengono in basso, il peso dell’indifferenza di chi incontro con cui cerco un rapporto, il peso dei piccoli fastidi che mi vengono continuamente risparmiati dello stare e dover decidere e fare. Sì, il rapporto a due crea un’atmosfera tranquilla in cui, e sono attimi privilegiati, si resta incantati dalla bellezza, perché bella è la persona che si ha accanto, e quella delle sue parole e dei suoi gesti la completa e compendia. Sì, vedo così questa donna, è bella e vuole me solo. Ma più ancora questa donna significa per me. Possibilità che il velo, che limita la mia vista e l’appanna, si laceri e io veda oltre, fino all’intuizione della bellezza del dio. Ecco che se ho fede tiepida e scialba io posso farla crescere nel calore che ella mi dà, fino alla sicurezza di essere amato da questa donna perché lui mi manifesti l’amor suo. E allora mi chiedo, è felice questo mio amante divino? Dal momento che è il dio di tutti devo rispondermi che è infelice, quanto o più di chi egli ama e siamo noi tutti. Noi, gli amati da altri di qui, lo siamo nella misura della felicità d’amore che assicuriamo a chi ci ama, sì, si dà amore per amore, una risposta a una offerta. Così gli occhi che ho davanti e che da molto mi osservano innamorati ora ridono di gioia, rispondono così al mio amore. Io l’ho voluta questa risposta, io ne ho creato le premesse, io ora ne godo, sentendomi felice. Ho donato, ho avuto. E il dio non fa di simile e meglio e più ancora? Eppure non gli rispondiamo come dovremmo, molti, troppi di noi, sono infelici, perciò lui è così. E molti lo sono pur godendo di numerosi temporanei esoneri in un mondo in cui spadroneggia il male. E così io posso essere un uomo indifferente alla bellezza che mi circonda, preso in altre cure. Sì, un infelice anche solo per noia, che, ingiusto, rende infelice il dio che lo ama attraverso tutto ciò che è buono e bello, il dio che fa solo della felicità dell’altro, ingrato, la propria. La mia è allora insensibilità a una preziosità offerta, l’amore divino. Ma il male può avermi preso e allora la gioia con la consapevolezza dell’irrimediabile s’è spenta. Io dialogo e lotto con l’apparente indifferenza del mio dio e la mia vita non ha più scopo se nulla più mi parla di lui, belle non son più le cose, belle appena prima e a primavera ho indifferenza per quanto di bello mi corre incontro. Ma anche allora in questa situazione di estremo disagio, se quel qualcuno che cento e più volte ha detto d’amarmi, m’è rimasto accanto io posso vivere assicurandole se non più la felicità, la serenità almeno e ne avrò contraccambio e ancora sarà d’amore. Vivo perché questi occhi che ora più teneri mi guardano, non si velino di tristezza eccessiva. E così farà il dio che nella sua impotenza nulla ha potuto di più per noi, tratterrà le lacrime sue!

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