mercoledì 8 febbraio 2012

Sogno di madre

Amore è come luce che s’accresce, dice il poeta, se il cuore è capace di recepirlo e condividerlo. Cioè è una sua ricchezza o talento che, ripartita, accresciuta ne resta, diversamente da ogni altra che qui si farebbe macra. Ne la “comedìa” sua ne fa un’illustrazione ottica, sostiene che sia come luce riverberata, che, riflessa, altri specchi incida, potendo ritornare al primo accresciuta dall’ultima riflessione. Ogni amore che per sé solo non sia, mima quest’amore che comanda la condivisione e dal dio viene. E che c’è tra noi? Tu sei compagna di vita e dolce secondi il destino mio e le asperità sue. Siamo due che vanno insieme, e tortuosa è a volte questa via e talaltra come erta faticosa, ma se l’uno s’arresta l’altro non va, e se soffre o è nella gioia l’altro ne partecipa e se dona all’altro nulla perde, ma quello che da’ gli torna accresciuto. E’ come riverbero di specchi, che posti di fronte siano, e la luce che l’uno riflette sull’altro, non si disperde, ma torna da quello che raccolta l’ha e trasmessa. Allora se vero è che a noi viene dalla bella signora, dobbiamo, riverberato, rifletterlo che altri ne disponga, ché dolce ella comanda di farlo. E noi così la sappiamo vicina. Ha pianto le lacrime nostre e della gioia nostra a fior di labbra ha riso. Fa di simile nella bella natura e quando quella ride lo fa e ne piange accorata il dolore, se quella del male subisce. E saperla tanto attenta alle cose del mondo certo conforta e appaga il chieder nostro ansioso se tutto della vita nostra un senso condiviso abbia avuto. Ma qui, dove vengo per i pensieri miei meglio sentire, un vento gelido da orto cerca invano tra i rami morte foglie da portar via ancora e mi intristisce tanta ostinazione, ché metafora mi pare per me, che dall’ottusa nera falena minacciato mi sento, di doverti lasciare strappato via, e chiedo alla bella signora di permettere che insieme ci prenda. E ricordo Epicuro morale, asceta del viver nascosti, che grande farmaco, da vincerne la paura, pensava venisse dal piccolo conforto di non negarsi le piccole piacevoli cose della vita. E noi piccole gioie e sorrisi scambiati pur abbiamo nei giorni migliori... Certo frainteso è dai gaudenti di ogni epoca esasperati nella ricerca del piacere di per sé. Egli, ingenuo, pensava che ogni uomo ha del grande in sé, se è capace di frenare le pulsioni del corpo avido con le gratificanti esigenze del pensiero. E non avviene di simile nel fidente? Già l’uno per l’altro i nostri sguardi sono stati e sono, e amarsi è confidare. Ma anche confidenza abbiamo nella bella signora che non è tra le stelle, anche se l’amor nostro lì s’aspetta di incontrarla. Non è tra le cose, ma nelle cose e allora sicuro l’abbiamo nel cuore. Ma da lì tanta luce uscir vuole e inondare gli astanti increduli, che avvertita in loro non l’abbiano, ché si lascino andare in un oh oh lungo di meraviglia. E vi si agita come mosca, che, catturata, sotto coppa rovesciata tenuta sia, ma quando appena quella si sollevi, libera presta si leva e vola via. E che è per il cuore metaforico la coppa che la bella impaziente tiene chiusa? Certo i pensieri grevi a schermarla, del tenersela per sé e non condividerla, questi stessi che corposa fanno la tentazione di sempre celare il prezioso. E non è l’amore un fiore che non si vorrebbe colto, una gemma preziosa che celata ad avidi sguardi si vuole per contemplarla al sicuro nella latebra del proprio cuore? E non sei tu gelosa del mio presunto interesse per altra donna, come e più io sarei se a simile comportamento tu tentata fossi per rivalsa? Ma così imprigionati saremmo nell’umano comune sentire e agire che debolezza è di creature fragili a questo mondo. E muore la luce in noi se non permettiamo che condivisa torni accresciuta. La madre, che le cose tutte ha col figlio suo fatte, vuole noi stessi dono ché oltre il dono ne venga. Non ci ha ella amato, non ricambiata ancora, ciascuno nei sogni di altra madre, nel buio del suo seno già come piccolo incipiente grumo? Quella recati ci ha per il mondo delle lacrime sue, delle sue angosce e delle sue speranze. Se quella stessa che nel grembo suo ci ha avvertiti crescere al silenzio e al buio, ché suoni e luce e respiro poi avessimo, allora è anche e proprio la bella signora che nel seno suo ci ha custoditi amorosa, ché da lei ne evaporassimo e coagulassimo in grumi d’amore a questo mondo sotto manto di stelle e notti di lucciole. E le orecchie ai suoni meravigliosi della natura e al babillage dei coetanei, tra cui a pargoleggiar si stia, abbiamo aperto e alle parole sillabate e ripetute amorevoli di madre e alle canzoni sue, e gli occhi al sorriso suo e ai colori di giorni radiosi... e farfalle leggiadre e bombi operosi e uccelli tanti, e fiori, fiori e sogni, sogni hanno fatto la nostra prima età! Poi siamo dovuti crescere..., ma viver possiamo il sogno suo! Ed è bello questo, infiora ancora la vita, ci invita..., ad esso abbandoniamoci, è sogno di donna, è sogno di madre, è sogno d’amore! 

1 commento:

  1. Si son fatti una folla i miei lettori! Ringrazio e do loro un link: www.lessicografia.it, che introduce alle nostre parole antiche,quelle del nostro poeta, al vocabolario della crusca. Lo dico per te, lettore caro che richiedi forse un traduttore istantaneo. Conoscessi bene l'inglese, scriverei in questa lingua e così per tutti!

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