venerdì 4 ottobre 2013

Una provvida Francesca


Timida oggi è nata l'aurora, incerta se venir fuori da tanto famelico fattosi mare, a tinger d'arancio questo cielo triste. Tante anime esso, loro corpi trattenuti o ceduti dalle acque, hanno raggiunto e tra quelle anche novelle o mai nate, ché per i corpicini loro, utero di madre ha fatto per sempre latebra. E io, che ho visto piangere una soccorritrice di pur scampati, ho pensato che il pianto tuo abbia liberato. Qui tutti peregrini siamo, precari in una stessa attesa, e se pur fossimo solo nel groviglio degli interessi terreni distratti, altri sordi ai richiami delle cose eterne, altri ancora, sonnecchianti in un ignavo sonno..., tutti saremmo allo stesso modo colpevoli, ché omettiamo l'amore! Disgraziati! Quanto Mammona ci ha accecati d'egoismo e fatti schiavi, tanto la matta bestialità dell'indifferenza ci tenta e alziamo le spalle o siamo addirittura sprezzanti nel dileggio vile di chi, scampato, si scopre tra noi diverso e anche più bisognoso, ché prima tra i suoi era solo povero e non anche insolentito, e tra questi scortesi, ingrati di quello che la tua bontà divina assicura loro, anche c'è ancora chi becero insiste sui respingimenti dei migranti in mare! Orrore! Ché quelli non cercano miglior vita, ma la vita stessa, il suo minimo! E per noi, che ci pensiamo fortunati, il domani vero sarà più dell'oggi? O invece sostenere più non vorrà la speranza nostra, e pur noi raminghi andremo tra gente vero fortunata e indifferente o sprezzante quali ora molti tra noi sono? Ma sperare il meglio e il più non è troppo osare da te, quando tu apparentemente abbandoni questi tanti poveri? Avranno essi compenso? E perché scelto hai di dover dar tanto, mentre forse qui sarebbe bastato poco, anche se da noi, cupidi ingordi, nudi di giustizia e carità, occorreva venisse? Perché la regale dignità tua sacrifichi alla nostra miseria, e permetti la libertà di peccare a febbrili ricercatori dello star meglio e del volere sempre più ancora, qui nel frastuono del mondo, qui abbrutiti adoratori del denaro, erranti della miseria morale quanto quegli sfortunati della materiale? Io proprio non so capacitarmi e darmi pace, e annego pur io, ma nella tristezza, anche questa forse solo egoistica, come compiaciuto ne sia. Eccomi peccatore più ancora! Cuor mio, io da te nuovo ardore avere vorrei a farmi dentro fiamma viva d'amore, necessaria più del calore che benevolo mi fa quello di piccola donna innamorata, e accendere la vorrei sul candore della fede mia in te rinnovata, ma in gelo e buio più povero mi scopro e più che mai non datore, ma mendico d'amore! Ma tu così accorato non mi vuoi ed ecco Francesca, che con arguzie di eterna bambina, mi desta ingenua meraviglia nell'anima e al riso perfino mi tenta!

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