Quando
vedo un malato terminale o ne ho notizia, sempre ho l'immagine di un
povero cristo in croce, che da sé morire non può e lo vorrebbe, più
di ogni parola, più di ogni gesto di compassione, pur spesso
desiderati, e non posso non pensare necessario che qualcuno, pietoso,
le gambe dovrebbe pur spezzargli per permetterglielo. Questa pratica
in quell'infame supplizio, di cui quello del tanto oggi provato fa
metafora, tra i romani era comune, nota come “crurifragium” per
accelerare la fine, a modo loro pur pietosi gli aguzzini se non del
condannato, dei timpani loro se dovuti rimanere astanti. Trovo che
oggi tra tanti indifferenti o volutamente distratti da mondani
interessi e pavidi, non si trovi chi faccia d'analogo! Io nemmeno me
ne sentirei capace, visto che, ormai medico, pietà fin a quel punto
di mia madre non ho avuto, ma solo amorevole alleviarne le indicibili
sofferenze ho avuto solerte cura fino alla fine! Ma oggi è
possibile, ma lontano, tra altra gente, sicuro più evoluta, la
pratica definita “suicidio assistito”, in cui non solo si
richiede l'assenso di chi stia per beneficiarne, ma pur la volontaria
messa in opera finale, solo da parte sua, dell'input dei meccanismi
necessari per l'eutanasia. Ma io mi chiedo, è pur essa un atto
d'amore? E se sì, almeno in determinate estreme circostanze, quali
allora i limiti dell'amore? Credo che l'amore limiti non abbia, ma in
ogni circostanza della vita, in ogni decisione occorrerà prima
chiedersi, Sto agendo veramente per amore, cioè nell'esclusivo bene
dell'altro? Può essere un bene privare della vita un'altra persona?
Ma la vita che è, se non la possibilità di toccare, sperimentare il
bene, di desiderarlo sempre più, e questo può e deve accadere anche
tra tanto male, che sempre è prevalente? E alla fine dei propri
giorni si dovrebbe poter dir, Io ho vissuto, ho conosciuto il bene! E
non certo, sono stato gaudente, cento e più donne ho avuto, e cose
sciocche similari! No, occorre dire, io ho amato, io sono stato
amato! Ma se il male diventa l'unica permanente possibilità e non
lascia tregua, ecco che perfino la morte, che di ogni possibilità di
bene e di male priva, può vestire i panni del bene, essere del bene
l'ultima forma possibile! Pensando che l'amore sia l'unico imperativo
e ripensando alla mia personale pavidità, antica e mai guarita, anzi
rafforzata dall'età e dal paravento della presunta fede, vorrei
davvero che il signore della vita tornasse a porre fine a questo
mondo di ipocriti, tra i quali mi metto con la dovizia delle mie
ragioni contrarie a simili decisioni estreme, e di malvagi
prevalenti, che non hanno che amore di sé e perciò ignorano
volutamente chi soffre. Sono sempre in cuor loro egoisti spregevoli,
contenti che il male abbia preso l'appena accanto, di cui trascurare
vuole il dovere di pur far qualcosa per alleviargli la pena, se il
colpito lo desidera, ma anche se, come è diffuso, quello preferisca
nascondere il suo dolore! Occorrerebbe allora intuirlo, occorrerebbe
sentirselo dentro come pungente disperazione, sì sentirlo gridare
forte! Qui, in questo mondo, si parla volentieri di diritto alla
vita, pur giusto, sacro addirittura, e non si permette una morte
appena dignitosa a chi l'invoca, nel dolore di una malattia senza
rimedio che attanagli, sì, nell'abbandono anche di chi aiuto gli
dovrebbe e smetta di lottare se troppo compromessa ne vede la propria
persona, la propria vita tranquilla di mediocre uomo. Necessità di
decisioni estreme richieste anche tacitamente, ma quasi sempre negata
dal pressappochismo di medici, per lo più però sempre avidi, e dal
temporeggiamento di politici ciarlieri, che quasi deserta l'aula
hanno lasciato perfino alla discussione sul “testamento biologico”,
e di istituzioni dalla burocrazia soffocante! E vorrei che il ritorno
del signore sia più veloce del desiderio amaro di morte di questi
disperati, immagini sue autentiche, e della mia stessa preghiera, che
risposta abbiano prima che lo raggiungano! E lo sproni la madre sua,
che del dolore conosce ogni increspatura, ogni lamento anche nel
nascondimento di chi ha perfino vergogna del suo stato, della sua
necessità, che tregua però non concedono, e ogni lacrima, ogni
grido, e ogni parola, ogni nome, pronunciati nel buio
dell'indifferenza, e ogni invocazione al cielo, a lei proprio, non
potuta soddisfare! Il dio, onnipotente qui non è
davvero, è solo il cristo che ha su di sé ogni male, almeno finché
durerà questo strano mondo che egli ha voluto, forse perché lo si
ami anche nella propria impotenza e altrui disperazione, che ogni
volta fa sua!
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