domenica 24 aprile 2016

Il male come residuo positivo


Bene e male sono contrapposizioni nell'animo umano, antitesi, percepite in apparente perenne lotta per prevalere e con ugual diritto ad affermarsi, con comportamento però l'uno attivo, l'altro di contrasto passivo. Infatti l'uno richiede amore, cioè intenzionalità da parte del soggetto recettivo alla necessità sua, l'altro è passività, reazione ad ogni iniziativa del primo. Il miglior paragone che ho in mente, ma che devo aver fatto altrove, è quello di un treno sulle rotaie, che consentono un minimo ostacolo al correre suo, perché l'attrito è ridotto, ma pur presente, e che perciò anche permette la corsa sua. Perché di simile fa l'amore che corre a concretizzare il bene. Ma il male perché pur deve esserci, anche sperandolo minimo o riuscendo a renderlo tale? Ho tentato altre volte una risposta, ma qui osservo anzitutto che il bene deve, per espletarsi, concretizzarsi, prima diventare amore, cioè partire da una potenzialità, che è sensibilità, “sollecitudo” per l'altrui destino e anche consapevolezza di dover agire ad ogni richiesta, sapendo anche anticipare la domanda e volerla soddisfare nonostante le opposizioni che questo mondo, impregnato di male, consente. Perciò presuppone sempre una persona che lo avverta come comando del cuore suo e lo decida opportuno, il male invece può conservarsi impersonale e agire con la semplice presenza sua, come reazione, mai del tutto eliminabile, ma questo deve avere l'importanza sua. C'è, penso, anzitutto come monito perché l'amore non creda di poter bastare a se stesso, ma ricordi sempre la fonte sua e a quella s'appelli nei momenti più bui di palese insuccesso. Ma quale questa fonte? Ecco, noi chiamiamo dio chi ha la consapevolezza di tutto il bene possibile e che, comprendendolo nella totalità sua, ne deve essere il generatore, oltre che il promotore, essendo amore per tutti e tutto. Infatti può frammentare il bene ed egli stesso ripartirsi, adattarsi, particolarizzarsi in tutti quelli che incarnano la volontà sua, una volontà d'amore. Dal momento che avere il possesso del bene è anche volontà di attuarlo! Sembrerebbe allora che il male sia dal dio permesso affinché nelle realizzazioni del bene se ne riceva sempre contrasto e si diventi consapevoli della differenza tra quello che si cerca di attuare e quello che ad esso si oppone, quindi della sua opportunità di esserci, fino a una minima, ma irrinunciabile sua presenza. Sì, ma significa più ancora questa necessità d'un suo residuo, grande o piccolo che sia? La consapevolezza di volere il bene, cioè di potere e dovere amare, richiede la comprensione di quello che è il dovuto all'altro, ma più ancora la previsione di ciò che sarebbe di lui altrimenti, cioè deve confrontarsi con la carenza o assenza di bene nel bisognoso e con quello che ne sarebbe, la probabile disperazione sua, il male prevalendo. Perciò anche coscienza di essere già nel bene per se stessi anche, appena lo si desidera per l'altro, spinti da amore. Allora così operando, anzitutto si sa che è il bene, che si vorrebbe affermato, è un agognato di cui il mondo tutto o il particolare soggetto, interessato all'attenzione, al momento è carente o del tutto privo, inoltre chi lo promuove ha coscienza del sentimento in lui che lo permette, cioè sa di possedere uno stimolo irrinunciabile, un pungolo che gli dice il da fare e il doverlo fare, l'amore appunto e questo correre lo fa perché sente di far parte di quel bene. Ma allora il male permesso che è, e ripeto, perché c'è un minimo suo che rimane? Anzitutto è proprio mancanza d'amore, il non riconoscere la necessità degli altri e volere il bene per sé solo, cioè è egoismo. Quindi nella consapevolezza sua è proprio dell'uomo, che ben altra risposta dovrebbe alle sollecitazioni che gli vengono dai suoi simili e dal suo ambiente, cioè dagli altri viventi e dalle cose che a loro fanno supporto di vita. Ma poi che altro ancora! Il male ha in sé una caratteristica allarmante, cioè quando non ha contrasto, quando agisce nelle premesse, che la malvagità diffusa ad esso prepara e indirizza, non si ferma ai danni suoi immediati, ma ne evoca altri, cioè diventa eccessivo, come se alla volontà di nuocere primitiva, altra se ne aggiunga ad esaltarla. Ecco che il mondo con le ostilità sue appare più tetro ancora, come vi corresse una volontà malefica a render peggiore ogni occasione offerta dalla umana malvagità di concretizzarsi. Proprio per questa intrinseca caratteristica, chi offesa riceva o insulto, non dovrebbe imboccare la via della rivalsa, ma subito accrescere il bene che fa la ricchezza e la bellezza dell'animo suo col perdono. Insomma il male può essere anche occasione di incrementare quello che di prezioso dentro si ha, l'amore, cioè ha una positività! E per essere capito deve restare, un po', quanto basta che accada come se nel buio che tutt'intorno fa, desti anche un barlume, e consenta che, saputo apprezzare, diventi vivida luce in animo recettivo. Questa particolarità è sorprendente. La rinuncia ad evocarlo nella rivalsa aggiunge al bene, che già si possiede, dono del dio, altro del suo ancora! La fonte prima del bene, il dio, non ha simile necessità, ché già il posseduto suo è tutto il bene possibile, ma se il perdono non aggiunge a lui altro bene, è esigenza della giustizia sua. Perché tutti siamo vittime del male, i mancanti cronici d'amore e gli occasionali, ma anche chi fa dell'amore una necessità vitale, al pari dell'aria e il cibo, che al corpo servono. Il male infatti c'è ed è sempre prevaricante, cioè esonda ed è per questo che tutti, anche i veri solleciti facitori di bene, da esso sono lordati, e perdonati dovranno essere come noi altri tutti, poco o molto, ma sempre tanto per chi soffra della rinuncia, che codardia ha permesso anche in lontano passato e che tutto il bene ulteriore realizzato, non è servito a tacitarne la coscienza! Allora c'è proprio una minima positività intrinseca al male, che anche al cuore amante fa sentire la necessità di chiedere perdono, perché appunto l'amore non può bastare nemmeno a se stessi. Ma anche lascia comprendere perché una presenza pur minima è bene resti. Perché il male, capito in tutte le eccessive conseguenze sue, può e deve indurre oltre che a chiedere perdono per insufficienza d'amore attuato, a concederlo, o a tentarlo almeno in onestà, sperando che, compreso nella sua necessità, dia il frutto suo. Quello della pace all'offensore perdonato e all'offeso, dapprima tentato di rivalsa, per la malevola risposta ottenuta alla tentata sua azione di bene, senz'altro equivocata, ma poi illuminato dalla fonte dell'amor suo. E il perdono fa la giustizia del dio, che ai reprobi pure, gli apparenti senza speranza di riscatto, s'estende! Allora il male, il residuo suo, modico solo nei virtuosi, tali giudicati nello sforzo generoso che detta loro l'amore, fa capire come sia necessità il dover chiedere perdono alla giustizia del dio, ma anche permette di attivamente parteciparvi! Io sono giusto con te, fratello, nella misura sì del bene tentato, ma anche della non risposta all'ingratitudine tua!

1 commento:

  1. Riporto integralmente ciò che ho scritto per gli amici di Facebook, perché serva ai miei di qui.
    Qualche doverosa precisazione è qui necessaria, anche se forse non basterà, non sarà sufficiente a smuovere qualcuno dalle convinzioni sue.
    Il post del mio blog è stato scritto con particolari argomentazioni anche in vista di obiezioni simili a quelle di Marco. Il punto centrale è che il dio dell’amore, origine del bene tutto, è ipotizzabile, non certo dimostrabile! Il male, che da lui è permesso, c’è perché tutti percepiscano la netta differenza tra quello che esso oppone alle pretese che il dio ha, affinché lo si assecondi, e le attuazioni da parte nostra, perché assai spesso siamo pusillanimi rinunciatari o sprovveduti, o incapaci, o anche non rispondenti per scelta. Perciò è difficile la sequela della volontà sua e mai scordare dovremmo, ma nella attiva prudenza, l’epilogo di vita per chi la tentò radicalmente! Ma proprio perché comunque rimane, per natura sua e per nostra imperfetta volontà imitatrice, il male fa capire di più, Mai lasciarsi tentare dalla rivalsa al dovuto subire da persona ingrata! Perché sempre il male evocato, nel rigoglio suo diventa eccessivo. Ma sarà sempre da privilegiare il perdono che arricchisce il bene connaturato! Mentre il perdono dal dio ipotizzato non può che aver un significato assai diverso, quello di ridare dignità! E a chi? A chi mai la ha avuta, riferendo solo a sé il bene per egoismo, o a chi l’ha lasciata sempre avvilire o le abbia fatto rischiare assai poco per occasionale codardia, volutamente ignorando che perderla è ritrovarsela accresciuta! E a un dio, giusto così, io posso credere!

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