Bene e male sono
contrapposizioni nell'animo umano, antitesi, percepite in apparente
perenne lotta per prevalere e con ugual diritto ad affermarsi, con
comportamento però l'uno attivo, l'altro di contrasto passivo.
Infatti l'uno richiede amore, cioè intenzionalità da parte del
soggetto recettivo alla necessità sua, l'altro è passività,
reazione ad ogni iniziativa del primo. Il miglior paragone che ho in
mente, ma che devo aver fatto altrove, è quello di un treno sulle
rotaie, che consentono un minimo ostacolo al correre suo, perché
l'attrito è ridotto, ma pur presente, e che perciò anche permette
la corsa sua. Perché di simile fa l'amore che corre a concretizzare
il bene. Ma il male perché pur deve esserci, anche sperandolo minimo
o riuscendo a renderlo tale? Ho tentato altre volte una risposta, ma
qui osservo anzitutto che il bene deve, per espletarsi,
concretizzarsi, prima diventare amore, cioè partire da una potenzialità,
che è sensibilità, “sollecitudo” per l'altrui destino e anche
consapevolezza di dover agire ad ogni richiesta, sapendo anche
anticipare la domanda e volerla soddisfare nonostante le opposizioni
che questo mondo, impregnato di male, consente. Perciò presuppone
sempre una persona che lo avverta come comando del cuore suo e lo
decida opportuno, il male invece può conservarsi impersonale e agire
con la semplice presenza sua, come reazione, mai del tutto
eliminabile, ma questo deve avere l'importanza sua. C'è, penso,
anzitutto come monito perché l'amore non creda di poter bastare a se
stesso, ma ricordi sempre la fonte sua e a quella s'appelli nei
momenti più bui di palese insuccesso. Ma quale questa fonte? Ecco,
noi chiamiamo dio chi ha la consapevolezza di tutto il bene possibile
e che, comprendendolo nella totalità sua, ne deve essere il
generatore, oltre che il promotore, essendo amore per tutti e tutto.
Infatti può frammentare il bene ed egli stesso ripartirsi,
adattarsi, particolarizzarsi in tutti quelli che incarnano la volontà
sua, una volontà d'amore. Dal momento che avere il possesso del bene
è anche volontà di attuarlo! Sembrerebbe allora che il male sia dal
dio permesso affinché nelle realizzazioni del bene se ne riceva
sempre contrasto e si diventi consapevoli della differenza tra quello
che si cerca di attuare e quello che ad esso si oppone, quindi della
sua opportunità di esserci, fino a una minima, ma irrinunciabile sua
presenza. Sì, ma significa più ancora questa necessità d'un suo
residuo, grande o piccolo che sia? La consapevolezza di volere il
bene, cioè di potere e dovere amare, richiede la comprensione di
quello che è il dovuto all'altro, ma più ancora la previsione di
ciò che sarebbe di lui altrimenti, cioè deve confrontarsi con la
carenza o assenza di bene nel bisognoso e con quello che ne sarebbe,
la probabile disperazione sua, il male prevalendo. Perciò anche
coscienza di essere già nel bene per se stessi anche, appena lo si
desidera per l'altro, spinti da amore. Allora così operando,
anzitutto si sa che è il bene, che si vorrebbe affermato, è un
agognato di cui il mondo tutto o il particolare soggetto, interessato
all'attenzione, al momento è carente o del tutto privo, inoltre chi
lo promuove ha coscienza del sentimento in lui che lo permette, cioè
sa di possedere uno stimolo irrinunciabile, un pungolo che gli dice
il da fare e il doverlo fare, l'amore appunto e questo correre lo fa
perché sente di far parte di quel bene. Ma allora il male permesso
che è, e ripeto, perché c'è un minimo suo che rimane? Anzitutto è
proprio mancanza d'amore, il non riconoscere la necessità degli
altri e volere il bene per sé solo, cioè è egoismo. Quindi nella
consapevolezza sua è proprio dell'uomo, che ben altra risposta
dovrebbe alle sollecitazioni che gli vengono dai suoi simili e dal
suo ambiente, cioè dagli altri viventi e dalle cose che a loro fanno
supporto di vita. Ma poi che altro ancora! Il male ha in sé una
caratteristica allarmante, cioè quando non ha contrasto, quando
agisce nelle premesse, che la malvagità diffusa ad esso prepara e
indirizza, non si ferma ai danni suoi immediati, ma ne evoca altri,
cioè diventa eccessivo, come se alla volontà di nuocere primitiva,
altra se ne aggiunga ad esaltarla. Ecco che il mondo con le ostilità
sue appare più tetro ancora, come vi corresse una volontà malefica
a render peggiore ogni occasione offerta dalla umana malvagità di
concretizzarsi. Proprio per questa intrinseca caratteristica, chi
offesa riceva o insulto, non dovrebbe imboccare la via della rivalsa,
ma subito accrescere il bene che fa la ricchezza e la bellezza
dell'animo suo col perdono. Insomma il male può essere anche
occasione di incrementare quello che di prezioso dentro si ha,
l'amore, cioè ha una positività! E per essere capito deve restare,
un po', quanto basta che accada come se nel buio che tutt'intorno fa,
desti anche un barlume, e consenta che, saputo apprezzare, diventi
vivida luce in animo recettivo. Questa particolarità è
sorprendente. La rinuncia ad evocarlo nella rivalsa aggiunge al bene,
che già si possiede, dono del dio, altro del suo ancora! La fonte
prima del bene, il dio, non ha simile necessità, ché già il
posseduto suo è tutto il bene possibile, ma se il perdono non
aggiunge a lui altro bene, è esigenza della giustizia sua. Perché
tutti siamo vittime del male, i mancanti cronici d'amore e gli
occasionali, ma anche chi fa dell'amore una necessità vitale, al
pari dell'aria e il cibo, che al corpo servono. Il male infatti c'è
ed è sempre prevaricante, cioè esonda ed è per questo che tutti,
anche i veri solleciti facitori di bene, da esso sono lordati, e
perdonati dovranno essere come noi altri tutti, poco o molto, ma
sempre tanto per chi soffra della rinuncia, che codardia ha permesso
anche in lontano passato e che tutto il bene ulteriore realizzato,
non è servito a tacitarne la coscienza! Allora c'è proprio una
minima positività intrinseca al male, che anche al cuore amante fa
sentire la necessità di chiedere perdono, perché appunto l'amore
non può bastare nemmeno a se stessi. Ma anche lascia comprendere
perché una presenza pur minima è bene resti. Perché il male,
capito in tutte le eccessive conseguenze sue, può e deve indurre
oltre che a chiedere perdono per insufficienza d'amore attuato, a
concederlo, o a tentarlo almeno in onestà, sperando che, compreso
nella sua necessità, dia il frutto suo. Quello della pace
all'offensore perdonato e all'offeso, dapprima tentato di rivalsa,
per la malevola risposta ottenuta alla tentata sua azione di bene,
senz'altro equivocata, ma poi illuminato dalla fonte dell'amor suo. E
il perdono fa la giustizia del dio, che ai reprobi pure, gli
apparenti senza speranza di riscatto, s'estende! Allora il male, il
residuo suo, modico solo nei virtuosi, tali giudicati nello sforzo generoso che
detta loro l'amore, fa capire come sia necessità il dover chiedere
perdono alla giustizia del dio, ma anche permette di attivamente
parteciparvi! Io sono giusto con te, fratello, nella misura sì del
bene tentato, ma anche della non risposta all'ingratitudine tua!
Riporto integralmente ciò che ho scritto per gli amici di Facebook, perché serva ai miei di qui.
RispondiEliminaQualche doverosa precisazione è qui necessaria, anche se forse non basterà, non sarà sufficiente a smuovere qualcuno dalle convinzioni sue.
Il post del mio blog è stato scritto con particolari argomentazioni anche in vista di obiezioni simili a quelle di Marco. Il punto centrale è che il dio dell’amore, origine del bene tutto, è ipotizzabile, non certo dimostrabile! Il male, che da lui è permesso, c’è perché tutti percepiscano la netta differenza tra quello che esso oppone alle pretese che il dio ha, affinché lo si assecondi, e le attuazioni da parte nostra, perché assai spesso siamo pusillanimi rinunciatari o sprovveduti, o incapaci, o anche non rispondenti per scelta. Perciò è difficile la sequela della volontà sua e mai scordare dovremmo, ma nella attiva prudenza, l’epilogo di vita per chi la tentò radicalmente! Ma proprio perché comunque rimane, per natura sua e per nostra imperfetta volontà imitatrice, il male fa capire di più, Mai lasciarsi tentare dalla rivalsa al dovuto subire da persona ingrata! Perché sempre il male evocato, nel rigoglio suo diventa eccessivo. Ma sarà sempre da privilegiare il perdono che arricchisce il bene connaturato! Mentre il perdono dal dio ipotizzato non può che aver un significato assai diverso, quello di ridare dignità! E a chi? A chi mai la ha avuta, riferendo solo a sé il bene per egoismo, o a chi l’ha lasciata sempre avvilire o le abbia fatto rischiare assai poco per occasionale codardia, volutamente ignorando che perderla è ritrovarsela accresciuta! E a un dio, giusto così, io posso credere!