martedì 14 gennaio 2014

Credere si può!

Ma poi che fonda la fede nostra, perché possiamo dirci cristiani? Mi chiedi. E io, Credere che il dio abbia visitato l'umanità sua. Ecco lo specifico nostro. E perché? Sapere, e poteva dircelo lui solo, e ne avrebbe mostrato nella vicenda sua tragica la radicalità della coerenza, che non basta perdonare, occorre amare i nemici! E sai tra i nemici di ciascuno chi v'è? Se stessi. Odio per noi da noi stessi! Esosi siamo nelle pretese, agognando successo e fortuna, e scoprendoci inadeguati, non ci perdoniamo. Poi odio per tutti perché, spilorci, diamo poco e pretendiamo da strozzini e poi vediamo invidia ovunque, ché il male in noi è su tutto proiettato e s'aggiunge, esaspera quello pur assai diffuso e agli altri esageriamo la capacità di nuocerci. E tutto questo fa paura! E dolore anche fa ché assai lontani ci scopriamo dal dio e in un'incertezza di vita vero sofferta. Chi siamo? Ci chiediamo, per risponderci, Nulla se non siamo per il dio! Solo una lamentosa presenza anchilosata nella rassegnazione al male di dentro e fuori. Allora occorre guarirne, ed è ben strana questa inadeguatezza patita, è malattia che si risolve iniziando a comportarsi come non sia, cioè avendo alacre fiducia nel superamento e con forzata serenità impedire esasperi e ci renda inoperosi. Noi dobbiamo caro prezzo a merce ben scadente, sempre! Poi sarà la pace e la certezza di obbedirgli. Allora sarà come al meriggio di tutto sole che tutte le ombre fuga, ché le paure tutte spariscono. E ci sentiamo perfino capaci del compito arduo affidatoci, amare. Ecco, pur sempre fragile è la navicella nostra, ma porta la nostra speranza, e calmo è ora il mare della nostra vita e brividi dà l'aria sua fresca, che si fa brezza e le sue vele gonfia. E sentiamo che qualcosa viene, ed è avvertita come esperienza di novità e attesa è di sorprendente gioia, che fremere ci fa e in cui la vita sentiamo trascolorare vuole, ché, passata la notte, procediamo incontro all'aurora, che già indora le innocue nubi assopite sull'orizzonte. E io affamato son del tuo amore, assetato di felicità e da te solo, eppure ti stringo tra le braccia e ti scaldo! Sol piccolo bene sei, forte e fragile piccola donna e mi fai tenerezza, ché tutta rannicchiata, ti stendi la veste a coprirti tutta e i capelli hai mossi, scompigliati come vi indugia il vento... Ma qualcuno ha detto che è felicità completa poter desiderare quello che già si ha! E così so quanto sono felice! E se tu sei della madre del dio icona severa e gioconda, c'è festosità nell'anima mia in te specchiata, ché scopro di possedere già del dio desiderato, molto, una perla e mi riempie le braccia, sì la racchiudo conchiglia! E desiderio sei e appagamento a un tempo...E tutto m'appare trascolorato, dono di inesauribile bontà e parla un misterioso linguaggio, palpita d'amore ricambiato... e ogni altro desiderio è svanito, sarebbe follia!

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