Molti
dubitano dell'inferno, condizione dei reprobi, che a noi, che viviamo
nel tempo, appare permanente. Ma qui che è l'indifferenza per le
conseguenze del male, tanto diffuso, sull'appena accanto? Non è
forse quanto più lontano dal Cristo ci possa essere? Egli dal Dio è
uscito ad avere empatia per tutti ed è rimasto a spartire con noi e
ogni altro vivente il dolore. Allora l'inferno c'è almeno qui!
Speriamo che quello minacciato dell'oltre sia vuoto, tutti nel
perdono di Dio! La sua è volontà incontrastabile di riottenere chi
qui si è a lui negato. Io ne ho desiderio per me, allora devo
sperare il perdono per tutti. Perché se desidero per me un qualunque
bene devo pensarlo disponibile, raggiungibile, almeno da chi mi vive
accanto, quindi da tutti. Si dice giusto che il perdono ha condizione
preliminare nel pentimento. Io l'ho per la mia vita mediocre. Ma è
la mia condizione innata o acquisita? È ingiusto pensarla innata,
dote di cui si può nascere privi, deve acquisirsi come ogni altra
ricchezza per l'anima. Chiusa essa però può rimanere come ad ogni
altra cosa degna e bella di qui. Ma quando accade, essa è malata.
La capacità di cura l'ha solo il grande medico, che ben dovrà
occuparsene qui o nell'oltre!
L'inferno almeno qui c'è. Non è assurdo per un cristiano sperare che quello dell'oltre sia vuoto.
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