Che mi succede, vero che quest'anima non sa più dirti, madre del cielo? Parole stentate da non far preghiera, e aridi gli occhi come la bocca. Eppure son sempre qui i miei problemi, ma come li guardassi distanti, più non forte premono alla coscienza mia, così quelli delle persone care che ti raccomando. Squallore! E il silenzio tuo più non parla, invitandomi a dirti, e assente ti fa. E in questa tua fascinosa immagine, che pende da bianco muro, hai davvero gli occhi rivolti altrove, a chi non c'è. Ti prego ritorna nella mente dei pensieri miei e lascia sognarmi degno d'ascolto e d'avere risposta d'amore, ché altre ignori, e se ora indifferente pari, è solo per questo squallore che mi viene dall'anima.
Allora che dico dall'anima mia provata all'altra madre, che qui ancora m'ha, mentre è con lei il fratello mio?
Tanta
tristezza addensata s'è
Sul tuo cammino di esperienze amare,
Che
arida pietraia d'egoismo
Ti sei fatta, anima mia!
Torna, torna
bambina all'umiltà,
Alla purità, alla gioia d'allora.
Esci da
omuncolo tristo e capzioso,
Ché t'arrida ancora la felicità dei
piccoli e dei semplici.
Lascia tante quisquilie dialettiche
In
cui sbriciolata hai erudizione faticosa.
Lascia gli imbelli riposi
di pensiero infruttuoso,
Esci al sole,
Dove nulla ombra
aduggia
E ogni dolore scolora,
In tanta feconda luminosità
E
riscalda tanto gradito calore.
E tu madre mia dolce,
Che ogni
anelito di vita
Sorreggi ed inciti,
Portami lontano, fuori
dell'inedia,
In cui sprofondato mi sono,
Portami
altrove,
Generami, figliami daccapo!
In altro mondo, in altra
epoca.
Sì, portami in te altrove.
Tanta volgarità, fatuità
grossolana,
Viver non mi lascia
Ché come forza passiva,
Da
ogni dove mi stringe
E mi ambascia il respiro.
Qui come
braccato
Da occhiuto non amore mi sento,
Come paura mi
prendesse
Che qualcuno morto mi voglia.
Forse per essere
notomizzato
Su orrido banco sotto livida luce
Da ciarlatani
cerusici,
Che curiosità invidiosa invogli
A settare mal celato
cuore.
Sono anche creduto felice e visto sicuro!
E temo le
ragioni conoscer si voglia
Di successo e fortuna.
Miopi non
vedono come prostrato mi ha
Vento ottuso, sbandato all'irruenza
degli eventi
E quante lacrime
Da dentro mi premono,
Che solo
per non esser tanto ridicolo
Ai loro occhi pettegoli,
Anche
poca dignità basta
A non cacciarle fuori.
Mentre io perfino
gridare
E non parole, vorrei,
Ma voce inarticolata d'anima
offesa!
Sì, fammi nascere là dove sei,
Dove ti sazi del fratello mio, sempre bambino per te,
A voi sorridente la madre del cielo!
Tanto mi trabocca dal cuore che sento di versarlo, triste com'è, nel cuore delle mie due madri, ché me ne venga un po' di conforto.
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